mercoledì 28 settembre 2016

Corriere 28.9.16
Una spirale che può portare alle elezioni anticipate
di Massimo Franco

Più che una campagna referendaria, somiglia a una marcia di avvicinamento alle elezioni anticipate. Quando il premier Matteo Renzi rispolvera il progetto della costruzione dello Stretto di Messina e fa balenare il miraggio di centomila posti di lavoro, sembra parlare agli elettori del Sud. E quando Beppe Grillo intima al Movimento 5 Stelle di tacere su Roma dove Virginia Raggi non riesce ancora a completare la giunta, rivela un sacro terrore di perdere il controllo appena riconquistato.
In entrambi i casi, si ha la conferma che di qui al 4 dicembre, il referendum costituzionale sarà condizionato da calcoli politici. Di più, elettorali. E le ragioni «di merito» del Sì e del No, purtroppo, scivoleranno in secondo piano. L’impressione di una resa dei conti al rallentatore è diffusa e radicata. Lo confermano gli appelli, provenienti dall’interno dello stesso Pd, a non trasformare la consultazione in una «guerra ideologica». Il governatore della Toscana, Enrico Rossi arriva a dire candidamente che bisognerebbe «parlare anche di altro, non so, di povertà. E allora forse può darsi che il sì possa riprendersi».
Colpisce la determinazione con la quale anche l’ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, evita di schierarsi. «Ho le idee chiarissime ma non mi pronuncio neanche sotto tortura. Perché», spiega, «infilarmi in una rissa che è più dura di quella tra Hillary Clinton e Donald Trump?». Si tratta di un atteggiamento che non riflette soltanto l’incertezza dell’esito referendario. Mostra soprattutto il timore da parte di molti di essere strumentalizzati dall’uno o dall’altro campo.
Non è un viatico incoraggiante per Renzi, che forse sperava in un pronunciamento a favore del Sì. Il capo del governo ripete di essere convinto di vincere: come i suoi avversari, d’altronde. Continua a impegnarsi in prima persona per spiegare che «le riforme non riducono la democrazia ma le poltrone». Ma questa dinamica lo condanna a identificarsi col referendum. È inevitabile: tanto, se non lo fa lui lo fanno i fautori del no. I toni che si rialzano, tuttavia, rischiano di radicalizzare le posizioni. La conseguenza è di conferire alla consultazione un carattere da ultima spiaggia; e di incorniciare il risultato del 4 dicembre, qualunque esso sia, su uno sfondo che espone artificiosamente l’Italia come nazione in bilico.
Lega, FI e M5S non fanno mistero di puntare a fare cadere Renzi: obiettivo che la minoranza del Pd coltiva più segretamente. Il premier, invece, sa che vincere sarebbe l’unico antidoto a un logoramento vistoso. Il referendum gli serve per puntellarsi e rilanciarsi; e magari per liberarsi una volta per tutte dei Dem che gli sono ostili. Per riuscirci, però, deve rovesciare i sondaggi che lo danno in svantaggio, convincendo i molti indecisi. E se la rimonta dovesse fallire, l’obiettivo minimo è dimostrare che senza di lui non si può governare fino al 2018.