mercoledì 28 settembre 2016

Repubblica 28.9.16
Dal Mattarellum all’italicum. Perché l’italia cambia sempre legge
di Piero Ignazi

NON c’è pace per il sistema elettorale. Dopo averlo cambiato due volte nell’arco di poco più di dieci anni, prima introducendo il Mattarellum nel 1993 e poi il Porcellum nel 2005, siamo alla modifica di una terza legge — l’Italicum — già approvata ma non ancora sperimentata.
Nessun’altra democrazia consolidata ha fatto tanti cambi in così poco tempo. Come mai? Non perché siamo dei perfezionisti, anzi, ma perché le ultime due norme, Porcellum e Italicum, sono state concepite con fini “strumentali”, avendo cioè in mente un obiettivo di corto respiro e di parte, senza tenere in conto principi generali.
Nel primo caso, il centrodestra cambiò le carte in tavola alla vigilia del voto nella speranza di menomare la vittoria, ampiamente prevista, del centrosinistra guidato da Romano Prodi. E, in effetti, ci riuscì. Nel secondo caso, il Pd riteneva che, sullo slancio dell’ottimo risultato conseguito alle Europee del 2014, il partito potesse vincere tranquillamente e in solitaria, conquistando così il premio di maggioranza. Ora che le prospettiva di vittoria si sono ridimensionate il tanto magnificato Italicum non va più bene: eppure doveva garantire stabilità governativa grazie alla vittoria di un solo partito, e consentire di sapere chi aveva vinto la sera stessa delle elezioni. Motivazione seria la prima, risibile la seconda.
L’obiettivo della stabilità governativa è condiviso da tutti. Peccato che ci sia solo un modo certo per ottenerla: cambiare forma di governo e passare da quella parlamentare a quella presidenziale. Soltanto con questo passaggio un governo rimane in carica per tutta la legislatura. Invece, nei regimi parlamentari nessuno assicura la stabilità, sia che governi un partito da solo (si pensi alla defenestrazione della Thatcher dal suo stesso partito nel 1990) sia che governi una coalizione. Tutto dipende da fattori politici, non da meccanismi elettorali. In particolare conta la coesione interna ai partiti e/o in una area politica. Più sono compatti e concordi, più il governo dura. In Germania i governi sono stati sempre governi di coalizione ma hanno retto, quasi sempre, per l’intera legislatura. Patti chiari, amicizia lunga.
In Italia, invece, prevale l’inimicizia e i
pacta non sunt servanda, dalla staffetta Craxi-De Mita al patto della crostata D’Alema- Berlusconi, fino all’augurio di una vita (politica) serena... Gli interventi sulle norme elettorali sono quindi pensati per ottenere qualche vantaggio politico per la propria parte, o contro le altre. Il dibattito riacceso in questi giorni lo dimostra. Il ventaglio di proposte presentate dal redivivo Verdini ha infatti uno scopo ulteriore: riportare in gioco l’amico Berlusconi e consentirgli di sedersi di nuovo al tavolo della politica che conta: in sostanza, “rinverdinire” il patto del Nazareno (altro accordo saltato).
Purtroppo per Verdini il contesto è cambiato e la sua offerta non ha lo stesso
appeal che avrebbe avuto tempo fa. Anzi, crea solo grattacapi a Renzi. Una legge elettorale concordata con Verdini e Berlusconi aprirebbe una falla gigantesca nel Pd perché il segretario mostrerebbe di preferire un progetto della destra a quello della sua sinistra interna, che da tempo insiste per una nuova norma. Non basta. Il ritorno ad una intesa cordiale del Pd con la destra darebbe agio ai grillini di strillare al complotto contro di loro e alla convergenza di tutti pur di fermarli.
Comunque, nessun sistema elettorale è perfetto. Sono gli obiettivi (rappresentanza e governabilità) e il metodo (cooperativo e inclusivo) che lo rendono accettabile ai più.