martedì 27 settembre 2016

Repubblica 27.9.16
Laura e Pietro storia d’amore e di politica
Il primo bacio, Roma occupata la Liberazione A un anno dalla morte di Pietro Ingrao vengono pubblicate le lettere inedite alla moglie
di Simonetta Fiori

All’inizio fu solo per finta. Dovevano fare i fidanzati per motivi di cospirazione, scambiarsi informazioni e documenti al cinema o ai concerti. Così aveva deciso il gruppo dei comunisti romani, nato nel soggiorno di casa grazie ad amici e fratelli. E così Pietro Ingrao e Laura Lombardo Radice fecero il loro ingresso nella storia della lotta antifascista ma anche in quella non meno importante del loro romanzo d’amore. Gli esordi non furono tra i più morbidi, come niente era facile in quello spicchio finale degli anni Trenta. Il giovane rivoluzionario ciociaro aveva preso sul serio la sua parte e una sera nella cornice di Massenzio si spinge ad allungare una carezza goffa su Laura, brillante figlia del pedagogista Giuseppe Lombardo Radice. «Un misto di grazia femminile e rigore interiore», avrebbe raccontato lui. Ma forse non era il momento giusto, o forse era un gesto troppo azzardato anche in tempi di cospirazione. Fatto sta che Laura gli mollò un sonoro ceffone e per un bel po’ non se ne parlò più. Ne avrebbero riso per i successivi 70 anni.
Ci sono donne che hanno seminato la loro intelligenza, cultura, sapienza nelle pieghe nascoste della storia grande, a scuola e nelle sezioni di partito, nelle battaglie civili e all’interno di famiglie numerose dove nutrire intellettualmente molti figli e un marito inquieto. Donne che non hanno cercato la luce dei riflettori pubblici, al contrario se ne sono tenute distanti, consapevoli delle insidie e anche degli aspetti ridicoli della fama. Laura Lombardo Radice è stata una di loro. Partigiana, professoressa, volontaria a Rebibbia, madre di cinque figli e moglie di Pietro Ingrao: proiettata sul mondo, ma estranea a qualsiasi ambizione di carriera politica. E bene ha fatto la figlia Chiara Ingrao a dedicarle un’originale biografia, Soltanto una vita, ora riproposta con dieci lettere inedite di Pietro. E certo avrebbe fatto piacere a Ingrao essere ricordato — a un anno dalla scomparsa — proprio attraverso il ritratto di Laura, del loro amore longevo, di quella trama sentimentale e politica che traspare dalla corrispondenza giovanile, matrice e incunabolo etico della successiva storia pubblica.
Fu un amore clandestino, quello di Laura e Pietro, coltivato all’ombra della lotta antifascista. L’inizio vero è nel Natale del 1942 quando lui ventisettenne è costretto a scappare da Roma e lei che è più grande di due anni lo accompagna di notte al cancello di casa. «Avvicinò il suo volto al mio e ci baciammo. E per me mai saluto fu più struggente », scriverà Pietro. «Un dono impossibile d’amore nel distacco », una promessa di felicità che cercheranno di alimentare faticosamente nei mesi successivi. Ma le parole talvolta non bastano. «Scriverti lettere d’amore non saprò mai», annota Laura nel settembre del 1943, in una missiva forse mai mandata. Ha bisogno di intimità, del silenzio insieme a Pietro. «Ho bisogno che la tua mano cancelli ogni memoria di dolore». Lui cerca una tonalità più “catechistica”, da “cospiratore vissuto”: ma poi crolla dinnanzi al «vuoto dell’assenza e della lontananza».
Il carteggio non è solo lo specchio d’una tempesta emotiva, ma anche di uno sguardo partecipe che entrambi non avrebbero mai abbandonato. Nel primavera del 1944 Laura partecipa con le donne del quartiere Trionfale all’assalto ai forni. Ed è al fianco di Teresa Gullace quando viene colpita a morte dai tedeschi mentre insegue il marito appena catturato: dall’episodio Rossellini avrebbe tratto la scena di Roma città aperta con la Magnani.
La Liberazione di Roma rappresenta per Laura e Pietro anche una liberazione sentimentale: il 24 giugno del 1944 si sposano in fretta e furia davanti a Mario Alicata. Senza chiesa, senza fiori, senza il vestito bello della festa: solo alcuni dolcetti in un bar del Campidoglio, poi il “viaggio di nozze” sulla circolare rossa. Ma in autunno lui deve già ripartire, vuole riprendere la divisa dell’esercito di Liberazione. A novembre è militare prima ad Avellino, più tardi in Toscana. E qui il carteggio diventa ancora più rivelatore del ruolo assunto da Laura, una fisionomia forte, dolcemente brusca, ancoraggio alla realtà in una tentazione diffusa di irrealtà. «Mia moglie che è una certa moglie», dice Pietro grato per il sostegno. Qualcuno ha scritto che senza Laura anche il rigore di Ingrao sarebbe stato diverso. Lui le riconoscerà sempre la capacità di cogliere «la complessità del vivere», la stessa che la induce a prendersi cura dei suoi “assassinetti” in carcere. E quando non potrà più soccorrere la fragilità altrui — a causa di una grave malattia — farà fatica ad accettare la propria. Per Pietro la mancanza di Laura nel 2003 è un dolore «assai aspro»: la «sua luminosità umana » spenta per sempre, ravvivata solo dai ricordi.