Repubblica 27.9.16
Gli inediti
Cerca di accettarmi più di quanto merito e comprati le viole che io non ti mando
di Pietro Ingrao
Carissima,
perché dovrei essere indulgente con le tue parole? (…) È possibile
rileggere le tue righe e sorridere. Certo sorridere a immaginarti nelle
faccende quotidiane di cui parli: rammendare, spolverare ecc. Chissà
perché mi piace tanto vederti impegnata in queste noiose storie
quotidiane. E sorridere anche di quell’aria un po’ più seria che hanno
quei volumi di storia che vorresti leggere. Bisognerà che tu mi permetta
anche questo secondo sorriso. Bisognerà che tu lasci al mio amor
proprio di uomo, o di “cospiratore vissuto”, se vuoi, quel tantino di
superiorità catechistica, che mi permetta di ammiccare alla faccia
impegnata di questa giovane compagna novellina! Al diavolo la
soggezione, però. Carissima, io voglio la tua intimità. Divento furioso,
anzi: di una calma schernevole dinanzi a quelli che si lasciano
imbrogliare dalla mia faccia seria (tutti che mi vedono, mi parlano
della mia faccia sempre seria). Mi viene la stessa voglia spavalda e
sacrilega che prende te di fronte a certe impeccabili moralità. Mi
conosco troppo bene. Carissima, voglio che tu ami la mia umanità, nel
suo problematico svolgersi e nella sua volontà di andare avanti. Se sono
indulgente quindi con le tue parole? Ma le amo, anche quando ne
sorrido. E se ne sorrido è perché le amo.
Voglio la tua intimità. E
per questo diffido della lontananza, della lontananza che impedisce di
vedersi, di toccarci con la mano, di toccarci con gli occhi allusivi, di
mangiare insieme e di sorridere insieme, della lontananza che crea
forse uno schermo troppo solenne al nostro bisogno così elementare. E
diffido della lontananza perché tropo stupendo è quell’alone di
possibilità di cui parli (…) E non mi basta che tu dica che io sono al
centro di te, come da sempre. È scritto, è solo scritto. Non posso
toccarlo, sentirlo, ricomporlo in te nella tua persona, nei tuoi occhi,
nelle tue mani, nel tuo starmi vicino. Gli altri ti vedono e sentono, io
no. (…) Il mio egoismo è davvero riprovevole. Come farai, mia cara, con
questa sorta di ladro nascosto che vuole rubarti chissà quanto e non sa
prometterti niente? E bada che non è un molto di buono. Forse tu potrai
amare solo un carattere. Un carattere, mia cara, che ha bisogno di te e
del tuo amore. Ti stringo forte. Affettuosamente
20 settembre 1943 ( dalla clandestinità ndr)
***
Carissima,
finalmente la possibilità di scriverti una lettera più pacata. (…) Come
vanno le mie cose? Un po’ meglio: il freddo cane del primo giorno è
passato, la neve si è sciolta ed è rimasto solo il fango(…) Aspetto
tanto una tua lettera, aspetto dei giornali, aspetto che tu mi scriva di
te e di tante cose. Sarà un modo per riprendere qui quei bei discorsi
delle nostre serate che allora sembravano nulla e che pure ora mi
appaiono così equilibratori, così riposanti e tante altre cose: è un
complimento per la moglie? (...) Abbiti cura e stai tranquilla. Sono di
pelle dura e pensa certamente che io esagero nello scriverti. Consolati
pensando che la moglie — lontana! — diventa una cosa cara, molto cara.
Specie mia moglie, che è una certa moglie. Ti abbraccio forte, una due
tre volte e se non ti dispiace ti passo la guancia da baciare — come
usava la sera a Roma.
2 febbraio 1945 ( dalla provincia di Avellino )
***
Carissima,
sono solo in camerata. Malinconia ninfa gentile… Oggi compio
trent’anni. Vorrei che tu capissi bene come questa malinconia è serena:
non mi dà pena. E vorrei che tu capissi che non è solo la lontananza di
Pasqua e il peso della vita militare. E’ il peso delle cose che non
riesco a esprimere ed è questo comunicare che mi manca e lascia morire
tanta della mia vita. Fossi pittore dipingerei questa campagna, questi
alberi, quelle viole. C’erano degli alberi dai lunghi rami dritti
fioriti di giallo, di cui non so il nome. Maledetta la cultura
umanistica.
Domani di nuovo la polvere e il sole sul carro e lo
sforzo per imparare cose a cui non sono tagliato: passare dalla prima
alla seconda, girare il carro, premere la frizione, accelerare e passare
in terza. Faremo la guerra? Chissà. Cerca di volermi bene, più di
quello che merito: più, molto di più di quello che te ne voglio io. E
comprati le viole, che io non ti mando. Saluta e fa gli auguri a tutti.
30 marzo 1945 ( dalla provincia di Avellino)