il manifesto 27.9.16
Frammenti di vita dal Novecento italiano
Storia. «Memorie di un intruso» di Bruno Amoroso per Castelvecchi
La militanza politica, il profondo legame con Federico Caffè. La scelta, infine, di insegnare fuori Italia
di Enzo Scandurra
Aver
avuto come padre un famoso regista, un noto scrittore, un autorevole
personaggio politico, può costituire un handicap per quel figlio
costretto a dimostrare di non essere da meno del suo genitore.
Altrettanto impegnativa può essere l’eredità che un padre, come quello
di Bruno Amoroso – modesto operaio nella Manifattura Tabacchi,
totalmente immerso nella politica del suo tempo con orgoglio e fierezza,
mai incline al compromesso, e con un profondo amore per i suoi cari –
lascia al proprio figlio. Saprà quest’ultimo essere alla sua altezza?
Perché nel frattempo il mondo è cambiato.
La purezza che animava
(non tutti, certo) i comunisti degli anni del dopoguerra si è dissipata;
diventata un ingombro a partire dagli anni Settanta.
Il giovane
Bruno (divertente la scena del Commissario di Polizia che, ignaro della
sua età – 13 anni –, e, convinto che si tratti di un pericoloso
sovversivo, vorrebbe arrestarlo per «sfruttamento di minorenni»),
osserva, quasi un presagio, l’emarginazione politica di suo padre troppo
rigido e puro per adattarsi al nuovo corso. La mancata epurazione degli
ex fascisti collaborazionisti rappresenta la prima e dura prova per
Pelino (padre di Bruno) di come le cose siano cambiate. Bruno osserva
questa mutazione politica con gli occhi di un figlio, ma presto toccherà
anche a lui subire analoga sorte di solitudine politica.
L’esilio volontario
Da
qui il titolo apparentemente enigmatico del libro – Memorie di un
intruso (Castelvecchi, euro 17,50). Determinante per il giovane
economista Amoroso sarà l’incontro col suo Maestro Federico Caffè. Tra i
due nasce un sodalizio importante per entrambi (la storia di questo
rapporto è scritta in un altro libro dell’Autore: La stanza Rossa.
Riflessioni scandinave di Federico Caffè, rieditato da Castelvecchi,
2012), che durerà fino alla sua scomparsa. Caffè intuisce la radicalità
che anima il giovane Bruno e proprio per questo approva la sua decisione
(siamo in pieno Sessantotto e Bruno è esposto alla rappresaglia della
polizia insieme a tanti altri) di andare fuori dall’Italia.
Così
inizia la lunga storia dell’intruso che espatria in Danimarca dove –
dopo aver svolto lavori come lavapiatti assistente, portiere, cassiere –
approda, con una lettera di presentazione di Caffè, all’Università di
Roskilde, dove, qualche anno dopo, fonderà il Centro Studi Federico
Caffè, punto di riferimento di studi economici internazionali dapprima
sulle socialdemocrazie dei paesi nordici (Rapporto dalla Scandinavia,
Laterza, 1980) e, poi, di analisi, ricerche e studi sulla
globalizzazione (Della Globalizzazione, Meridiana, 1996)
I
rapporti con Caffè non si perdono, anzi si rafforzano: Federico Caffè,
negli anni precedenti la sua misteriosa scomparsa, si recherà più volte a
Copenaghen nella casa di Bruno. Tra i tanti che si sono vantati di
essere stati allievi di Caffè, Bruno è quello che gli è stato più
prossimo, sia nelle teorie economiche, sia negli affetti.
Fuori
dal gretto provincialismo italiano, Bruno studia e analizza il declino
delle socialdemocrazie europee dei paesi scandinavi. Anni dopo, insieme a
Riccardo Petrella darà vita alla facoltà della Mondialità del Bene
Comune (Per il bene comune, Diabasis), poi alla campagna «Dichiariamo
illegale la povertà».
Il libro si presta a severe riflessioni
sulla lunga parabola discendente della sinistra; ne descrive i passaggi
attraverso l’esperienza personale di esilio, ne osserva la mutazione
molecolare che a poco a poco dilaga tra i suoi dirigenti e militanti.
Amoroso appartiene, e ne è giustamente fiero, a quella piccola pattuglia
di intrusi che mai «capirono» il compromesso al ribasso, avendo come
unico riferimento le sofferenze dei più deboli. Amoroso mi raccontò una
volta un aneddoto che aveva sentito da Federico Caffè. Si recava
all’università prendendo i mezzi pubblici, e così, facendo tesoro della
sua bassa statura, gli confessò che durante quei viaggi riusciva a
vedere cose che altri non vedevano. Bruno, suo illustre discepolo ed
erede intellettuale, ha continuato a farlo, fuori dal coro dell’economia
mainstream.
Nel disincanto del «tradimento», restano, al fine, le
amicizie, quegli incontri che lasciano il segno per una vita, l’amore
per le piccole cose, una curiosità intellettuale mai sopita, il sogno di
comunità fatte di persone in carne ed ossa con le loro passioni e le
loro sofferenze (Persone e comunità, Dedalo).
Una vita di ricordi
In
una recente lettera scritta dalla Danimarca, così Amoroso parla del suo
libro: «È la storia della mia vita che inizia negli anni Trenta e si
conclude ora con la mia decisione di mettere un punto finale al
racconto. Non è un libro di Storia, ma la storia vista e vissuta
attraverso i miei ricordi, esperienze, in ogni sua fase: dai ricordi di
guerra e dell’infanzia; da chierichetto a giovane comunista,
all’esplosione delle nuove amicizie, la scoperta delle mie radici, gli
anni della speranza nel partito e nel sindacato, la mia nuova comunità
negli anni Sessanta, e le sconfitte politiche e personali con la nascita
del riformismo. Poi la ricerca di altri percorsi di vita possibili con
la partenza per Copenaghen. Ricomincio d’accapo, momenti di dialogo e di
passione, l’America e il Vietnam. Fine di un’esperienza: quei sacchi di
sabbia vicino alla finestra. Se ne parlava solo tra amici e fu così che
si cementò l’amicizia e l’affetto con Federico Caffè, Pietro Barcellona
e pochi altri. Un testo, il mio, costruito lungo il percorso degli
affetti di una vita, e nel quale aleggia l’interrogativo: dove e quando
abbiamo sbagliato e cerco di darmi delle risposte. Un altro mondo è
possibile? Si certo, quello trionfante della barbarie al quale possiamo
opporre solo: not in my name!»