Repubblica 26.9.16
Non si governa con il mal di media
di Michele Serra
L’IDEA
di una “rivoluzione normale e gentile” propugnata a Palermo da Virginia
Raggi andrebbe spiegata meglio al drappello di ultras nevrastenici che a
quel meeting ha aggredito a manate e parolacce alcuni giornalisti in
quanto giornalisti, dunque servi dei poteri forti.
La difesa della
categoria in quanto tale è molto poco interessante. Detto che ci sono
giornalisti bravi, altri meno bravi, altri così così, si è già detto
tutto il necessario, ed è abbastanza superfluo aggiungere che è bene non
picchiarli, specialmente i meno bravi che sono quelli che dovrebbero
stare più a cuore ai veri rivoluzionari.
Interessante, invece,
sarebbe capire come si sostanzia e dove va a parare, politicamente e
culturalmente parlando, quella particolare e delicata branca
dell’ostilità alle “caste” (quelle vere e quelle presunte) che è l’odio
per i giornalisti: uno dei caposaldi del grillismo. Partito, nella
migliore delle ipotesi, come critica radicale di un sistema mediatico
giudicato speculare al potere, autoreferenziale, distante “dai veri
problemi dei cittadini”, minaccia di assumere, strada facendo, venature
putiniane mano a mano che il Movimento si avvicina alla stanza dei
bottoni.
Come è inevitabile che sia, l’aumento delle
responsabilità amplifica la pressione mediatica: se Raggi fosse
solamente una giovane avvocata, vivrebbe serena. Ma è diventata sindaco
della capitale d’Italia, e dunque eccola investita da uno tsunami di
parole e immagini che è certamente molto faticoso da reggere dal punto
di vista umano, ma ha come unico “mandante” la voglia (e il diritto)
dell’opinione pubblica di sapere come vanno le cose in Campidoglio.
Questa pressione non è sempre corretta e non sempre fedele al suo
mandato: ho scritto pochi giorni fa che trovavo inutile e orribile
l’assedio di cronisti sotto l’abitazione privata di Virginia Raggi, e
l’ho scritto su questo giornale, non su un blog corsaro, perché la
stampa — stavo per dire: la democrazia — è abbastanza forte da sapersi
contraddire.
Ci si domanda: è il Movimento abbastanza forte da
sopportare di essere contraddetto? O insegue un modello (metà ridicolo,
metà inquietante) di autarchia mediatica che pretende di
autorappresentare (come fanno i regimi, e solamente i regimi) le proprie
azioni? Se la pietra di paragone deve essere il blog di Grillo, anche
tralasciando ogni polemica sull’autorevolezza degli interventi (che pure
conta), il livello di aggressività, disprezzo degli altri,
superficialità dei giudizi, è perfino al di sotto di quello di molte
gazzette politiche che usano l’insolenza e l’approssimazione come il
pane. La violenza verbale di piazza e di blog, dunque pubblica, contro
gli avversari politici, contro chiunque governi e i suoi presunti
“servi” è fin dal primo momento, dalle parti di Grillo, un piatto forte.
Non è mobbing mediatico anche quello, con i suoi rosari di vaffanculo?
Che cosa ha di migliore, di più virtuoso, soprattutto di più “vero”,
quel modo di riferirsi al mondo e alle persone, rispetto al sistema
dell’informazione così come è, con tutte le sue nefandezze e le sue
omissioni?
Sarebbe interessante capire quale genere di
“informazione” il Movimento avrebbe gradito oppure autoprodotto, sulle
vicende romane, nel caso gli odiati “poteri forti”, e i loro servi con
taccuino e telecamera, fossero messi finalmente a tacere. Che le liti
interne siano state amplificate e teatralizzate è possibile, ed è un
difetto tipico dei media, che tendono all’enfasi, d’altra parte, anche
quando si occupano di quisquilie, figuriamoci della Giunta di Roma. Ma
sono venuti fuori — grazie ai media — anche errori marchiani,
interferenze politiche (vincenti) della eterna destra romana,
goffaggini, gelosie, immaturità: non si dovevano/potevano scrivere?
Grillo,
dal palco, non ha saputo pronunciare, in proposito, che qualche
spiritosaggine, non in tono, diciamo, con il suo ritrovato status di
leader, per giunta di un partito che ha ambizioni di governo.
Leggermente meglio hanno fatto altri pezzi dello stato maggiore (la cui
composizione rimane comunque imperscrutabile) sostenendo che l’accaduto
era sì sgradevole, ma provocato da “scelte editoriali decise nei piani
alti”. Bisogna che qualcuno gli spieghi che ai “piani alti”, ormai, ci
abitano loro. In Campidoglio, anzi, solo loro. Governano, e da che mondo
è mondo chi governa, quando vede un giornalista, deve annodarsi la
cravatta, sorridere, cercare di non farsi fregare dalle domande cattive,
sorvolare sulle domande sceme, rispondere a tono alle domande
intelligenti. E sapere che quello, anche quello, è il suo mestiere. Come
si dice al bar: hai voluto la bicicletta? Pedala.