Repubblica 26.9.16
La ricerca. Gli italiani rivogliono le frontiere
Sondaggio
Demos-Repubblica: l’83% vuole più controlli nell’area
Schengen. Favorevole il 72% di chi vota Lega e il 65% di Fi. D’accordo
anche il 49% dell’elettorato grillino. Più freddi nel centrosinistra: ma
il 38% dice sì
di Ilvo Diamanti
Si guarda con
diffidenza alla Ue ma abbiamo bisogno dei suoi aiuti: siamo euro-tattici
È la paura degli altri, degli immigrati, ad alimentare la domanda di
ispezioni e barriere
Il premier Renzi più che euro-scettico è
“euro-tattico”, a fini esterni - nei confronti del rigore di Bruxelles -
ma anche interni, in vista del referendum
NOTA METODOLOGICA
Il
sondaggio è stato realizzato da Demos&Pi per la Repubblica. La
rilevazione è stata condotta nei giorni 6-8 settembre 2016 da Demetra
(metodo mixed- mode CATI-CAMI). Il campione nazionale intervistato
(N=1.023, rifiuti/sostituzioni 7.092) è rappresentativo per i caratteri
socio-demografici e la distribuzione territoriale della popolazione
italiana di età superiore ai 18 anni (margine di errore 3.1%)
Documentazione completa su www.agcom.it
MATTEO Renzi ha
avviato un conflitto permanente, in Europa. In particolare con gli
azionisti di riferimento dell’Unione. Germania e Francia. Con i quali ha
polemizzato per il mancato invito al prossimo vertice di Berlino.
SI
TRATTA, peraltro, di un atteggiamento sperimentato dal premier, in
diverse occasioni. Più che euro-scettico: euro-tattico. A fini esterni e
ancor più interni. All’esterno, nei confronti dei governi forti della
Ue, Renzi mira a ottenere più flessibilità nei conti. E maggiore
sostegno di fronte al problema dell’immigrazione. Verso l’interno: cerca
di allargare i propri consensi. Oltre la cerchia del Pd. Perché gli
italiani sono anch’essi euro-tattici, come il premier. Hanno bisogno
degli aiuti della Ue, ma la guardano con diffidenza. E temono gli
immigrati. Si sentono esposti e vulnerabili ai flussi migratori. Così
Matteo Renzi parla a Bruxelles e a Berlino. Ma si rivolge al proprio
Paese. Agli elettori che lo sostengono, ma anche — ancor più — a quelli
più tiepidi e distaccati. Tanto più in questo periodo di campagna
elettorale in vista del prossimo referendum costituzionale.
D’altronde,
come abbiamo osservato altre volte, l’atteggiamento degli italiani
verso l’Unione si è sensibilmente raffreddato, dopo l’ingresso
nell’euro, nei primi anni 2000. Allora eravamo i più eu(ro)forici in
Europa. Quasi il 60% esprimeva, infatti, fiducia verso le istituzioni
comunitarie. Ma il clima d’opinione è cambiato in fretta. Fino a
scendere sotto il 30%, negli ultimi anni. Oggi è al 27%. E i più delusi
sono gli elettori incerti, che Renzi contende ai partiti decisamente
euro- scettici. In primo luogo: Lega e M5s. Tuttavia, non bisogna
pensare che gli italiani se ne vogliano andare dalla Ue, seguendo
Salvini e la Lega. Né che intendano abbandonare l’euro, come vorrebbero
Grillo e il M5s. La maggioranza, anche se largamente insoddisfatta,
preferisce, comunque, restare. Perché la Ue e l’euro non ci piacciono.
Però non si sa mai… Fuori potrebbe andarci molto peggio. Tuttavia, il
percorso verso l’unificazione lascia gli italiani sempre più
insoddisfatti. Non solo sotto il profilo economico, monetario. E,
naturalmente, politico. Ma, ancor più, territoriale. Perché, per
esistere, uno Stato deve avere un territorio de-finito. Cioè,
de-limitato. Uno Stato — federale — europeo deve avere confini esterni
precisi. E confini interni, cioè, fra gli Stati nazionali, aperti.
Comunque: sempre più aperti. Invece, i confini esterni appaiono sempre
più incerti, mentre quelli interni si ripropongono, sempre più evidenti.
Marcati, talora, da muri (come in Austria e Ungheria). Mentre le
frontiere diventano barriere. Come ha previsto il Regno Unito.
D’altronde, la minaccia terroristica ha spinto a rafforzare i controlli.
In Francia, anzitutto. Ma questa domanda è cresciuta anche altrove. In
Italia, ad esempio. Dove le paure “globali” si diffondono in misura
crescente, come ha sottolineato il Rapporto dell’Osservatorio sulla
sicurezza dei cittadini (curato da Demos con l’Osservatorio di Pavia e
la Fond. Unipolis). Oggi, infatti, nel nostro Paese la richiesta di
marcare e sorvegliare i confini appare largamente condivisa. Solo il 15%
degli italiani (del campione rappresentativo intervistato da Demos nei
giorni scorsi) pensa che il trattato di Schengen vada mantenuto.
Garantendo la libera circolazione dei cittadini europei fra gli Stati
(membri). Mentre una quota molto più ampia, prossima alla maggioranza
assoluta, (48%) ritiene che occorra sorvegliare le frontiere. Sempre. E
una componente anch’essa estesa, oltre un terzo della popolazione,
vorrebbe che i confini nazionali venissero controllati “in alcune
circostanze particolari”. Il sogno europeo, immaginato e perseguito da
“visionari, come Altiero Spinelli, Jean Monnet, Robert Schuman e Konrad
Adenauer, rischia, dunque, di fare i conti con un brusco risveglio.
Almeno in Italia. Dove una larga maggioranza dei cittadini pensa di
rientrare dentro alle mura, o almeno, alle frontiere, degli Stati
nazionali. Questo sentimento si associa a orientamenti politici precisi.
Raggiunge, infatti, livelli elevatissimi fra gli elettori della Lega
(oltre 70%) e di Centro-destra (due terzi, nella base di Forza Italia).
Ma incontra un sostegno ampio (quasi 50%) anche tra chi vota M5s. Mentre
si riduce sensibil- mente (sotto il 40%) nella base del
Centro-sinistra. La richiesta di frontiere, peraltro, declina in modo
particolare fra i giovani e gli studenti. Abituati a frequentare le
Università europee, grazie al programma Erasmus.
Tuttavia, se
valutiamo le principali ragioni che concorrono ad alimentare questo
orientamento, una, fra le altre, assume particolare rilievo. Il timore
suscitato dagli immigrati. L’arrivo e la presenza degli stranieri. Più
della sfiducia nell’Unione europea e nelle sue istituzioni di governo,
infatti, è la “paura degli altri” che alimenta la domanda di rafforzare
il controllo delle frontiere. E contribuisce, in qualche misura, a far
crescere la nostalgia dei muri. Come se le frontiere e gli stessi muri
potessero “chiudere” (e proteggere) un Paese “aperto” come il nostro.
Verso Est, l’Africa e il Medio Oriente. Circondato, in larga misura, dal
mare. In tempi di globalizzazione. Dove tutto ciò che avviene dovunque,
nel mondo, può avere effetto immediato sulla nostra vita. Sulla nostra
condizione. Sul nostro contesto. Per questo il dibattito politico sulle
frontiere, in Europa ma anche in Italia, appare dettato da ragioni
politiche e ideologiche. Perché le frontiere servono a riconoscere gli
altri e de-finire noi stessi. E, in quanto tali, come ha scritto Régis
Debray, possono costituire “un rimedio contro l’epidemia dei muri”. Ma
quando diventano muri ci impediscono di guardare lontano. Alimentano
solo la nostra in-sicurezza. Non alleviano le nostre paure. Ma
rafforzano solo gli imprenditori politici delle paure.