lunedì 26 settembre 2016

Repubblica 26.9.16
Clinton contro Trump. La sfida come un thriller
di Federico Rampini

CENTO milioni di spettatori: stasera avremo il record storico per un dibattito politico, a livelli da Super Bowl, la finalissima del campionato di football americano. Sfidando il fuso orario (comincia alle tre di notte italiane) anche in altre parti del mondo molti seguiranno il primo duello tv tra Hillary Clinton e Donald Trump. La corsa alla Casa Bianca ha ricadute planetarie. E ci si arriva in condizioni da autentico thriller: nell’ultimo mese Hillary si è bruciata un vantaggio che era consistente. Il sondaggio Abc News- Washington Post dà i due candidati in perfetto pareggio, ciascuno col 41%, se s’includono le preferenze date ai due candidati indipendenti (il libertario Gary Johnson e la verde Jill Stein). Di che rendere ancora più eccitante il match di stasera, forse perfino decisivo.
Come ha fatto Clinton a farsi raggiungere? A posteriori si può dire che le primarie democratiche l’hanno indebolita, mentre quelle repubblicane non hanno danneggiato Trump. Su Hillary resta un marchio indelebile, il tema sul quale il socialista Bernie Sanders le diede del filo da torcere nelle primarie: lei è una politica di professione, espressione dell’establishment, troppo vicina ai poteri forti del capitalismo, in una democrazia truccata dai finanziamenti privati. Quell’immagine fa sì che una parte della “coalizione Obama”, soprattutto i giovani, pur odiando Trump rischiano di starsene a casa l’8 novembre, o di votare per un candidato minore.
Viceversa, Trump ha recuperato terreno per almeno due ragioni. Primo, gli è bastato qualche gesto vagamente “presidenziale” — come l’incontro cortese col capo di Stato messicano — per apparire un po’ meno inverosimile nel ruolo di futuro leader della nazione. Secondo, gli elettori di destra si stanno ricompattando, nonostante i dubbi che nutrono i più moderati, la voglia di riprendersi la Casa Bianca dopo otto anni di Barack Obama è troppo forte. L’Opa di Trump sul partito è quasi irresistibile, perfino Ted Cruz con cui erano volati insulti pesanti nelle primarie, ha finito per dargli l’endorsement. La disciplina di partito non si estende all’establishment economico: non c’è un solo chief executive delle 100 maggiori imprese americane ad appoggiare Trump. Questo la dice lunga sulla credibilità dei suoi programmi; al tempo stesso lo accredita per l’elettore medio come un outsider, libero dalle lobby (non è vero, ma non importa).
Il duello del secolo, dopo la campagna elettorale più anomala che gli Stati Uniti ricordino, ha altre singolarità. Sono arrivati in finale due candidati con un record storico di ostilità, antipatia, sfiducia, opinioni negative: l’uno e l’altra hanno contro il 57% degli elettori. L’unica certezza è che l’8 novembre molti americani andranno a votare turandosi il naso, pur di scongiurare l’Apocalisse (e grosso modo per metà di loro è Hillary il demonio fatto persona).
Colei che potrebbe essere la prima donna presidente, arriva al duello con un handicap che ricorda quello di Al Gore contro George Bush nel 2000: è troppo preparata. Secchiona, ha una competenza formidabile su tutti i dossier dall’economia alla politica estera. Ma in un’epoca di sfiducia verso “gli esperti”, a certi elettori un candidato che conosce troppe statistiche e troppe capitali estere insospettisce anziché rassicurare. Il gioco delle aspettative è asimmetrico: da lei ci si attende la perfezione e qualsiasi scivolone non le sarà perdonato; a Trump forse basta essere un po’ meno bugiardo, prepotente, o demagogico del solito. È stato osservato che le cose dette nei dibattiti si dimenticano presto, e per capire chi vince o perde bisognerebbe seguirli a volume spento: concentrarsi sul linguaggio corporeo, l’impressione di autorevolezza o disagio, calma o irritazione, che trasuda dai volti e dai gesti.
Sarà un test anche per i media, a cominciare dal conduttore di stasera: Lester Holt della Nbc, nero (di origini giamaicane) e repubblicano. Il ruolo dei media nell’ascesa di Trump è controverso, spesso i giornalisti hanno rinunciato a contestargli menzogne spudorate, intimoriti dalla sua aggressività, o affascinati dal suo talento di showman.