Repubblica 25.9.16
Il fallimento dei tirocini solo un giovane su dieci trova un’occupazione stabile
Negli
ultimi cinque anni la percentuale di trasformazione in contratti di
assunzione non è mai andata oltre la soglia del 12 per cento
di Marco Patucchi
ROMA.
«È la nuova frontiera del precariato». Non ha dubbi Francesco Seghezzi,
esperto di mercato del lavoro, mentre snocciola le statistiche sui
tirocini che ha elaborato per Adapt, il centro studi fondato da Marco
Biagi: negli ultimi cinque anni la percentuale di trasformazione in
contratti veri e propri non ha mai superato il 12%, neanche nei periodi
di crescita esponenziale di questo strumento nato per indirizzare la
formazione dei giovani verso il mercato del lavoro.
Si è passati
dai 67.150 tirocini extra-curricolari (cioè svolti al di fuori dei
percorsi universitari) del 2010 ai 114.879 del 2015, ma il transito
verso il contratto a tempo indeterminato è rimasto comunque inchiodato
all’11,8 per cento. E il dato è riferito ai tirocini di durata massima —
fino a ventiquattro mesi — mentre per quelli più brevi il tasso di
trasformazione è ancora più basso. Numeri che propongono un dilemma
retorico: o il 90% dei giovani italiani è composto da persone
assolutamente incapaci, oppure qualcosa non funziona nel sistema di vasi
comunicanti tra le giovani generazioni e il mondo lavorativo.
Incrociando, peraltro, gli andamenti statistici con l’evoluzione della
recessione e con il dispiegarsi dei vari interventi normativi (dalla
legge Fornero al Jobs Act, da Garanzia giovani alla decontribuzione
sulle assunzioni), si evince come a guidare le scelte delle aziende
siano le opportunità di risparmio sul costo del lavoro piuttosto che
l’idea di formare e poi assumere giovani. Un rapporto di tirocinio,
ricordiamolo, ha un costo che varia dai 400 ai 500 euro mensili.
Strategie
opportunistiche degli imprenditori confermate dai numeri
sull’apprendistato, l’altro strumento votato allo sbarco delle giovani
generazioni nel mondo del lavoro: ebbene, mentre si è registrato un calo
sostanzioso in coincidenza di incentivi molto forti sui contratti a
tempo indeterminato, la corsa dell’apprendistato è ripresa impetuosa non
appena la decontribuzione sulle assunzioni è stata ridimensionata.
Inoltre,
così come per i tirocini, il tasso di trasformazione in posti di lavoro
stabili non è mai decollato veramente: in base ai dati elaborati dalla
Uil, nel 2013 su 229.351 rapporti di apprendistato attivati quelli
trasformati in contratti a tempo indeterminato sono stati 69.635; nel
2014 la proporzione è stata di 69.271 su 231.084; nell’anno successivo
85.352 su 184.196; e nei soli primi sei mesi di quest’anno si è già
arrivati a 133.081 rapporti attivati di cui 50.129 trasformati in lavoro
stabile. L’effetto del ridimensionamento degli incentivi sulle
strategie dei datori di lavoro è d’altro canto confermato dai dati più
generali diffusi ieri dalla Cgil: il 71% delle nuove assunzioni dei
primi sette mesi 2016 è con contratti a termine mentre quelli stabili
sono calati del 33,7%. Nel caso dell’apprendistato, poi,
l’“opportunismo” dei datori di lavoro è stato in qualche modo
assecondato dalle modifiche normative del 2014: in particolare,
l’abbassamento dal 50 al 20% della soglia minima di stabilizzazione
degli apprendisti per maturare il diritto a fare nuovi contratti di
questo tipo, o la franchigia per le aziende con meno di cinquanta
dipendenti.
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, anche di
recente ha difeso gli strumenti messi in campo dal governo per avviare i
giovani al lavoro: «In più di un milione si sono registrati fino ad
oggi a Garanzia giovani: difficile definirlo un fallimento.
L’apprendistato lo abbiamo semplificato e spero di poter dire che verrà
stabilizzato. Quanto all’alternanza scuola-lavoro, abbiamo bisogno che
diventi permanente: pensiamo ad incentivi, ma vanno trovate le risorse».
La
pensa diversamente il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy:
«Se il governo avesse a cuore il rafforzamento del lavoro stabile,
indebolirebbe tutte le altre forme contrattuali. Invece, si è limitato a
scommettere sulla possibilità che, una volta esaurito l’effetto
incentivi, sarebbe stata la ripresa a sostenere la dinamica del mercato
del lavoro. Una scommessa persa, per il lavoro siamo tornati ai livelli
del 2014».