sabato 24 settembre 2016

Repubblica 24.9.16
Quando Truffaut intervistò Hitchcock e nacque il cinema come lo conosciamo
Il libro edito da Laffont nel 1966 fu una rivoluzione, un punto di non ritorno per generazioni di cinefili
di Emiliano Morreale

Fu pubblicato per la prima volta cinquant’anni fa “Le cinéma selon Hitchcock” di François Truffaut. Il dialogo tra i due cineasti è una pietra miliare della critica cinematografica e ha avuto un’influenza determinante sulla formazione dei registi dagli anni Sessanta in poi
Negli Usa il volume arriva mentre sta incubando la new Hollywood di Scorsese Il dialogo tra i due autori è una lezione sul metodo: il punto di vista si esprime attraverso lo stile

CINQUANT’ANNI fa arrivava nelle librerie francesi il libro di cinema forse più famoso di sempre. Tra ottobre e novembre del 1966, l’editore parigino Laffont pubblica un volume grande ed elegante, zeppo di foto: Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut. Un’intervista di oltre 200 pagine, un libro di cinema come non se n’erano mai fatti e come molti se ne faranno poi. Lo hanno ricordato, qualche giorno fa, una giornata di studi all’Università di Torino, ma già l’anno scorso se n’era riparlato in occasione del documentario Hitchcock/ Truffaut di Kent Jones, distribuito in Italia da Cinema.
L’intervista in realtà era stata fatta quattro anni prima dell’uscita del libro, nel ’62. Truffaut era uno dei giovani registi europei più celebri, dopo I 400 colpi e
Jules e Jim, Hitchcock era uno dei registi più famosi, anche grazie ai telefilm da lui prodotti e introdotti. Eppure era un regista, pensava Truffaut, più noto che conosciuto. Una decina d’anni prima, infatti, il ventenne Truffaut e i suoi coetanei Godard, Chabrol, Rohmer (critici e non ancora registi) avevano intrapreso una battaglia prendendolo a modello della “politica degli autori”. Non è il contenuto, l’impegno la cosa decisiva, dicevano, ma lo stile che è già una visione del mondo: e dunque i registi del cinema hollywoodiano, Hitchcock in testa, sono autori a pieno titolo. Ma per gli americani quel regista era ancora solo un grande tecnico, il mago del brivido e nulla più. Grazie al libro di Truffaut, invece, e al lavoro di critici come Andrew Sarris e di un altro critico-regista come Peter Bogdanovich, l’idea dell’“autore hollywoodiano” entra anche in America. Il libro andrà molto meglio negli Usa che in Francia.
Il primo incontro con Hitchcock era avvenuto in Costa Azzurra nel ’54, sul set di Caccia al ladro. Truffaut e il suo amico Chabrol, uscendo eccitati dall’incontro, erano finiti in piscina infradiciandosi. Nei racconti successivi di Hitch, i due erano vestiti da prete e da poliziotto: una maniera ironica, forse, di caratterizzare la lettura un po’ spiritualista dei critici francesi, per i quali il mago del brivido era anzitutto un cantore della tentazione, del male e della colpa.
Nel ’62 Truffaut non è più un critico ma un regista, e come regista progetta il libro: preparazione, riprese (una settimana d’incontri, 50 ore di registrazione), montaggio (sbobinatura, sistemazione del testo) e alla fine il reperimento delle immagini. In Italia non lo sapevamo, perché il libro a lungo è stato pubblicato senza foto, ma la grande novità era anche lo stretto legame tra il testo e i fotogrammi o le foto di scena, che il francese era andato a reperire in giro per l’Europa. Risultato, quattro anni di lavorazione a singhiozzo, durante i quali i due conversatori hanno il tempo di fare due film a testa: uno Marnie e Il sipario strappato, l’altro La calda amante e Fahrenheit 451 (che sono due film diversamente “hitchcockiani”, l’ultimo, poi, guarda caso storia di uomini-libro...).
Negli Usa, Il cinema secondo Hitchcock arriva mentre si sta incubando quella generazione di registi-cinefili che scaleranno la Hollywood anni 70 (il nome più esemplare è Scorsese) e diventerà un testo fondamentale per generazioni di appassionati. Senza la passione di quella generazione sarebbe oggi inimmaginabile il cinema di Tarantino o quello dei fratelli Coen. E in molti, critici o registi, hanno poi fatto i loro libri-omaggio ai maestri (fino al libro di Tornatore su Francesco Rosi). Eppure Il cinema secondo Hitchcock oggi sembra un libro che chiude una stagione d’oro della cinefilia, più di quanto non ne apra una. In Francia la moda della politica degli autori declina, i Cahiers du cinéma scoprono semiologia e psicanalisi, e infine, col ’68, la politica. È difficile, forse, immaginare che una passione come quella di Truffaut per il suo maestro abbia ancora senso per un ventenne o un trentenne di oggi. Eppure se non altro torna d’attualità la lezione di fondo: in un’epoca in cui le scuole di scrittura insegnano schemi narrativi scolastici e le serie propongono il primato della narrazione sulla messa in scena, dello showrunner sul regista. Il dialogo tra Hitchcock e Truffaut ci ricorda l’inscindibilità di contenuto e forma, l’importanza di un punto di vista sul mondo che si esprime attraverso lo stile e la maniera di guardare le cose, in una continua dialettica tra l’individualità creatrice e il sistema produttivo.