Repubblica 24.9.16
Genova, il candidato Pd che spiazza tutti “Basta buonismo, sui migranti sbagliamo”
La sfida dell’ex portavoce della Paita: “Cambio di passo o si perde, le paure della gente vanno ascoltate”
di Alessandra Longo
ALL’EPOCA
 della campagna elettorale per le Regionali - era il 2015 - mentre il 
centrosinistra diviso tra i renziani sostenitori della Paita e i 
transfughi Pastorino e Cofferati si preparava a consegnare la Liguria al
 berlusconiano Toti, lo avevano soprannominato addirittura 
«fasciocowboy» per le sue idee spicce in fatto di terrorismo 
internazionale e per aver accettato un invito di Casa-Pound. Ieri, come 
oggi, Simone Regazzoni, 41 anni, docente a contratto di Estetica 
all’Università di Pavia, già portavoce di Raffaella Paita, risponde 
semplicemente così: «Io sono di sinistra, anzi vengo dalla sinistra 
radicale. Però io, la sinistra, la voglio far vincere e in materia di 
immigrazione c’è bisogno di un cambio di passo». Regazzoni, senza che 
nessuno glielo abbia chiesto, sta correndo per le probabili primarie del
 centrosinistra che si terranno in vista delle amministrative 2017 a 
Genova. E ha puntato quasi tutto, come un giocatore d’azzardo, sulla 
madre di tutte le questioni: l’immigrazione, appunto. Descrive Genova, 
amministrata dal peraltro integerrimo e colto sindaco Doria, per quello 
che è: «Una città satura, dove la situazione è davvero al limite, dove 
il rischio di un forte dissenso sociale, finora scongiurato da un’ottima
 rete di associazionismo, è più che concreto». I dati aggiornati ad 
inizio settembre indicano che i richiedenti asilo nel Comune di Genova 
sono 1900, vale a dire il 3,24 per 1000, più del doppio della quota 
prevista dal piano di redistribuzione sul territorio. Regazzoni racconta
 dello stupore del nuovo questore quando si è fatto un giro nel centro 
storico: «Sembra di non essere a Genova!».
Si può andare avanti 
così, «ignorando paure e ansie di una popolazione autoctona che chiede 
legittimamente garanzie e sicurezza?». Regazzoni ha deciso di 
sparigliare: «La risposta non può essere etico-solidaristica. Non te la 
puoi più cavare così. Fermo restando il principio sacro della 
solidarietà, l’accoglienza va gestita politicamente, cosa che, a mio 
avviso, il sindaco Doria non ha fatto. Non possiamo cavarcela solo 
dicendo che i migranti sono una ricchezza. Dobbiamo riconoscere anche 
che la loro presenza, distribuita male sul territorio, crea un problema.
 Le ansie della gente in certi quartieri non sono fasulle, sono reali, 
sono ansie. Punto».
Lui lo chiama «il cambio di paradigma» citando
 addirittura il filosofo Jacques Derrida: «Se non vogliamo perdere le 
elezioni, dobbiamo spiazzare la destra, definire noi il campo e 
governare il fenomeno». Spiazzare la destra, dunque, che ha partorito 
una «Carta di Genova» (quella dei tre governatori Toti, Zaia, Maroni) 
con idee «condivisibili», dice Regazzoni, ma attestandosi su una furbata
 demagogica: il rifiuto delle quote. «Se i Comuni del centrodestra 
attorno a Genova non prendono le loro quote di migranti ecco che la 
città si satura. E noi possiamo spiegare agli elettori di chi è la 
colpa».
All’inizio quelli del Pd locale non sono saltati dalla 
gioia per l’exploit del «fasciocowboy». Però adesso che anche il sindaco
 di Milano Sala dice che bisogna rivedere la politica dell’accoglienza 
il tema sta entrando in agenda. Lui, Regazzoni, ha nel frattempo 
prodotto un «Manifesto per una nuova politica dell’immigrazione a 
Genova». Tra le sue idee, «un patto sociale con i migranti»: li 
inserisci nelle cooperative di volontariato e, in cambio del lavoro, 
hanno un posto dove dormire e mangiare. Chi non ci sta non avrebbe gli 
stessi diritti di chi collabora. Basta «vittimizzare i soggetti, basta 
con le modalità paternalistiche, riconosciamoli come interlocutori, 
responsabilizziamoli». E quei 200 individui individuati dalla Questura 
di Genova come persone da espellere siano mandati via sul serio. Anche 
con le retate? «Sì, certo, anche con le retate, altrimenti perdiamo 
credibilità. Ricordiamoci che la sicurezza è un diritto sociale, una 
precondizione alle politiche di dialogo e integrazione». Si può non fare
 niente? «Puoi continuare a non affrontare il problema e credere di 
salvarti l’anima. Ma politicamente sei condannato a perdere».
 
