Repubblica 24.9.16
“Atenei corrotti, i cervelli fuggono”
Cattedre di padre in figlio ma per la parentopoli non paga mai nessuno. Cantone denuncia il malaffare nei concorsi
Le inchieste sugli atenei quasi sempre prescritte. Settemila casi di omonimia su 61mila docenti
di Giuliano Foschini
UNA
ricerca di qualche anno fa di un trentenne matematico emiliano,
costretto a emigrare negli Stati uniti non per ragioni di studio ma per
ragioni di spazio («tutto occupato dai parenti»), raccontava che tra gli
oltre 61mila professori italiani, c’erano settemila casi di omonimia. E
che duemila di essi si ripetevano più di due volte. Un’anomalia.
Perché, prendendo un elenco a caso di 61mila persone, per la statistica
le omonimie avrebbero dovuto essere meno della metà.
Se mai ce ne
fosse stato bisogno, quella fu la prova scientifica che il vero problema
dell’università italiana si chiama nepotismo. Cattedre tramandate per
generazioni, figli che prendono i posti dei padri e delle madri («e
questi ultimi — fanno notare oggi — non sono nemmeno calcolati negli
elenchi di omonimia, per via dei cognomi diversi»), nipoti dei nonni.
Per dire, in questo momento all’Università di Bari — che fu la patria di
tutti gli scandali della parentopoli con famiglie che avevano in una
stessa facoltà sino a otto esponenti della stessa dinastia — cinque
dipartimenti sono guidati da figli d’arte. Ma così è da Milano a Palermo
e per quanto i codici etici, approvati ormai ovunque, cercano di
impedire che in uno stesso dipartimento possano lavorare padri e figli,
mariti e mogli, con soluzioni creative spesso si riesce a trovare la
strada giusta per l’inganno.
Ecco: le scorciatoie, ma soprattutto
l’impunità, rappresentano il vero scoglio insormontabile alla lotta al
nepotismo italiano. Sollevati gli scandali, raccolte le indignazioni, la
magistratura si muove aprendo fascicoli. Che però quasi mai arrivano a
compimento. E non perché non ci sia sostanza — i figli, gli amici, sono
assunti — ma perché norme e tempi rendono impossibile il corretto corso
della giustizia.
Anche in questo senso, il caso Bari fa scuola.
Tempo fa durante una perquisizione i carabinieri scoprono sulla
scrivania di un professore del Policlinico uno schema con 16 concorsi
banditi da dieci atenei in tutta Italia per posti da ordinario e
associato. Nome e cognome del vincitore, accanto a quello dello
“sponsor”, tra parentesi. Tutto si verifica come deve. Parte
l’inchiesta. Siamo nel 2007 e, otto anni dopo, proprio nelle scorse
settimane, viene tutto archiviato: i reati ci sono ma ormai è troppo
tardi. Tutto prescritto, inutile indagare. E fa niente che i candidati
“raccomandati” siano saldamente ai loro posti.
Non si tratta di
un’eccezione. Nel 2004, sempre a Bari, si gridò allo scandalo a
cardiologia con un’ondata di arresti: 12 anni dopo tutto è prescritto e
non è stato nemmeno concluso il primo grado di indagine.
Il caso
più clamoroso è però forse quello che riguarda la “cupola” dei giuristi,
stando alla definizione che ne fece la procura di Bari. Un’indagine
monstre, che documentava (con intercettazioni telefoniche e sequestri
documentali) il solito scambio di cattedre tra docenti di diritto
costituzionale, pubblico comparato ed ecclesiastico. Più di sessanta
indagati, tra cui alcuni dei principali giuristi italiani e taluni saggi
chiamati dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per
modificare la Costituzione. Sono passati più di sette anni: alcuni
fascicoli sono stati archiviati, quasi tutti prescritti, altri trasmessi
per competenza in altre procure d’Italia. Non c’è stata nemmeno una
richiesta di rinvio a giudizio.