Repubblica 24.9.16
La riscossa degli ultras liberisti
“Troppa uguaglianza fa male basta invadenza dello Stato”
Frasi vuote che abbelliscono le pretese dei più forti e vanificano quelle dei più deboli
di Michele Ainis
Diversi
autori, fra i quali Nicola Porro con il suo ultimo libro difendono
l’aumento della differenza di ricchezza Ma la vera questione riguarda le
pari condizioni di partenza
Il liberismo è sotto schiaffo. Padre
legittimo della globalizzazione, deve rispondere delle sue promesse
mancate, dei suoi disastri annunciati. La crisi economica, che infuria
dal 2008. La crisi migratoria. La crisi identitaria, che alimenta
populismi e terrorismi. La crisi degli Stati, antiche sentinelle dei
diritti. E la diseguaglianza, sorgente e motore di tutte queste crisi
globali.
Perché il mondo non è mai stato così profondamente
diseguale come adesso, all’alba del terzo millennio. Nel 1820, in base
al reddito pro capite, fra il Nord e il Sud del nostro pianeta c’era uno
scarto di 3 a 1; nel 2006 il divario è diventato 90 a 1. Nel frattempo
lo Stato più ricco (il Qatar) surclassa di 428 volte il più povero (lo
Zimbabwe). In Europa, in Australia, in Giappone la vita dura il doppio
rispetto a chi ha avuto la disgrazia di nascere in Nigeria. E l’1% della
popolazione mondiale possiede più risorse del 99% rimanente (Oxfam
2016).
Tuttavia l’imputato si difende, anzi passa al contrattacco.
Ne è prova una nutrita pubblicistica che negli ultimi tempi tracima in
libreria, sull’una e sull’altra sponda dell’Atlantico. Eccone infatti
qualche esempio, circoscritto agli italiani o agli autori tradotti in
italiano. Idee di libertà, a cura di Iannello e Infantino (Rubbettino,
2015), contro i «luoghi comuni» che accusano la globalizzazione. Sulla
disuguaglianza di Frankfurt (Guanda, 2015), filosofo americano: i
governi dovrebbero combattere la povertà, non le differenze di reddito
fra i propri cittadini. Il volume di Butler, La scuola austriaca di
economia (Istituto Bruno Leoni, 2014), dove si magnificano le idee dei
suoi esponenti principali, da Menger a Rothbard. La Storia del pensiero
liberale di Bedeschi (Rubbettino, 2015), secondo cui il liberalismo è la
quintessenza della democrazia. Il libello di Mingardi, L’invenzione del
neoliberismo (in Nuova storia contemporanea, 2016), che si scaglia
senza mezzi termini contro la «leggenda nera», contro la vulgata che
imputa ogni male del mondo alle politiche neoliberiste inaugurate da
Reagan e Thatcher.
In ultimo, dal 15 settembre i lettori possono
disporre d’una summa di tutte queste posizioni: La disuguaglianza fa
bene, libro scritto da Nicola Porro per i tipi della Nave di Teseo. Il
titolo è eloquente, l’autore pure. Senza mai cadere nell’epiteto
volgare, Porro espone la sua verve polemica in pagine puntute e spesso
appassionate. Contesta che la diseguaglianza sia cresciuta, che la
globalizzazione abbia affamato interi popoli («lo sviluppo economico
negli ultimi trent’anni ha prodotto più benessere di quanto ne sia stato
creato negli ultimi cinque secoli»). Denuncia la perdurante invadenza
dello Stato, specie attraverso il suo sistema di «polizia fiscale».
Auspica la flat tax (un’aliquota bassa e uguale per tutti, intorno al
20%), che a suo tempo già propose Milton Friedman. E in conclusione
rilancia la sentenza di von Hayek: se i governi livellassero le
disparità sociali, se intervenissero per colmare qualsiasi differenza
tra una persona e l’altra, allora finirebbero per pianificare le nostre
stesse vite, trasformando lo Stato in «un incubo».
Sennonché
l’eguaglianza è questione di misure, di grandezze. Troppa eguaglianza
significa nessuna libertà, significa un egualitarismo alla cinese,
quando il presidente Mao imponeva a tutti lo stesso stipendio, lo stesso
appartamento, la stessa casacca verde. Troppo poca implica, di nuovo,
una schiavitù di fatto, l’asservimento del più debole al più forte.
Oltre a minacciare la crescita economica, che sta a cuore a tutti, non
solo ai liberali doc. Come mostra un’indagine sui Paesi europei
(Eurostat 2012), gli Stati più egualitari nel 2005 hanno raggiunto le
performance migliori nel 2010, incrementando sia il Pil sia
l’occupazione. E infatti al G20 tenuto ai primi di settembre in Cina, i
leader del mondo hanno usato una parola sola: ridurre le diseguaglianze,
altrimenti l’economia continuerà la sua corsa verso il peggio.
Ma
per riuscirci occorrerà più Stato, non meno Stato. Servirà un’azione
correttiva rispetto alle storture del mercato globale, recuperando la
lezione di Adriano Olivetti, secondo cui nessun manager dovrebbe
guadagnare 10 volte in più rispetto ai propri dipendenti (oggi il
rapporto, in Europa così come negli Usa, è di 500 a 1).
E
bisognerà infine dare corpo e gambe al principio custodito nell’articolo
3 della nostra Costituzione: l’eguaglianza sostanziale fra gli
individui e i gruppi, rimuovendo gli «ostacoli» che ne intralciano il
cammino. È questa l’eguaglianza più desiderabile, quella nei punti di
partenza. L’eguale libertà di diventare diseguali, però partendo eguali.
Un liberista non sarà d’accordo. Un liberale, sì.