Repubblica 249.16
Quei migranti italiani arsi vivi 115 anni fa l’America spezza l’oblio
Un
 monumento in Michigan per le cento vittime di uno dei più grandi 
disastri ferroviari degli Usa. I loro corpi furono gettati in una fossa 
comune
di Alberto Flores D’Arcais
NEW YORK. Quel 
27 novembre 1901 era la vigilia di Thanksgiving, un freddo e cupo 
pomeriggio d’autunno che in Michigan significa inverno inoltrato. Vicino
 a Seneca, piccolo villaggio a poche miglia dal confine con l’Ohio, la 
Wabash Railroad aveva un solo binario. Il Continental Express viaggiava 
spedito alla volta di Detroit con il suo carico di famiglie che andavano
 a celebrare la festa del Ringraziamento, il treno numero 13 invece 
arrivava da New York, due carrozze letto di prima classe per i ricchi 
passeggeri, un vagone più economico e tre carri-bagaglio. Negli ultimi 
due, «ammassati come sardine», c’erano un centinaio di poveri immigrati 
italiani (diversi con mogli e figli al seguito) che nel Midwest e nelle 
miniere di Colorado e California cercavano un futuro più umano.
Erano
 le 6 e 45 del pomeriggio, l’impatto fu terribile. I vagoni di legno, 
frantumati in mille pezzi, presero fuoco per le lampade a cherosene, 
l’incendio e i detriti impedirono la fuga, la temperatura raggiunse i 
mille gradi, i vagoni si trasformarono in una trappola mortale. Sul 
Continental, per tanta fortuna e la presenza di spirito di un 
macchinista, si salvarono quasi tutti. Nei carri-bagaglio del treno 
numero 13 gli immigrati italiani vennero ridotti in cenere, cremati 
senza scampo in pochi minuti. Le cronache dell’epoca parlano di 
«terrificante olocausto», i primi soccorritori assistono impotenti a 
quella scena infernale con le fiamme che consumano i rottami, un fuoco 
devastante che era visibile a otto chilometri di distanza.
Le case
 di Seneca e Sand Creek, i due paesi più vicini, vennero trasformate in 
ospedali di fortuna, da Adrian (il centro più grande della zona) 
arrivarono medici ed infermieri. Nel giro di 24 ore, con la notizia (e 
qualche dettaglio raccapricciante) diffusa da tutti i giornali, migliaia
 di curiosi invasero i binari. I dirigenti della ferrovia diedero ordine
 di riaprire la linea «il più velocemente possibile» e quello che negli 
anni divenne noto come il “Wreck on the Wabash” — uno dei più grandi 
disastri ferroviari nella storia degli Stati Uniti — lasciò una scia di 
dubbi e qualche mistero. Una rapida inchiesta stabilì che l’incidente fu
 colpa del Continental Express, al treno numero 13, che aveva avuto una 
giornata particolarmente tribolata (ore di ritardo, un motore rotto) era
 stata data la precedenza. Nell’elenco ufficiale delle vittime la Wabash
 mise solo i 23 passeggeri con biglietti di prima e seconda classe, quel
 centinaio di immigranti italiani che avevano viaggiato come animali 
divennero morti-fantasma.
Per oltre un secolo nessuno ha saputo 
nulla di loro. Uomini, donne e bambini spesso ai margini della società, 
gli immigrati italiani che nei primi anni del Novecento raggiungevano la
 loro Terra Promessa erano considerati dei “diversi” nell’America 
vittoriana. Abitudini, religione, lingua, cibo e modo di vivere erano 
troppo distanti da quella “società perbene” che li considerava solo 
carne da lavoro. Per cento di loro quella vigilia di Thanksgiving e quel
 treno dal numero maledetto (negli Stati Uniti il 13 equivale al 17 
napoletano) fu sinonimo di oblìo definitivo. Le ceneri e i pochi resti 
raccolti da qualche mano pietosa vennero ammassati in cinque piccole 
bare e portati — all’insaputa di tutti — nel cimitero di Oakwood ad 
Adrian. Nessuno si preoccupò di mettere un segno o di scrivere qualcosa 
su quelle casse di legno, che vennero abbandonate in una specie di fossa
 comune nella parte meno frequentata del cimitero (Oakwood ha oltre 
ventimila tombe). Ci sono voluti 115 anni. Alla fine, grazie all’impegno
 di una storica locale (Laurie Perkins, autrice del libro “Wreck on the 
Wabash”), di Kyle Griffith (sovrintendente in una scuola media della 
contea) che per anni ha insegnato ai suoi studenti la storia 
dell’immigrazione attraverso il locale disastro ferroviario, del sindaco
 di Adrian Jim Berryman e del consolato italiano a Detroit il mistero è 
stato risolto. «Ero imbarazzato per la mancanza di rispetto verso gli 
uomini che hanno perso la vita in quel tragico incidente e per le loro 
famiglie», ha raccontato Berryman che una volta scoperto il luogo della 
informale sepoltura, il 7 giugno scorso ha lanciato un crowdfunding 
(obiettivo 12mila dollari, raccolti 13mila nel giro di poco più di due 
mesi) per una scultura a ricordo delle vittime. Affidata all’artista 
italo-americano Sergio De Giusti.
Questa mattina nel cimitero di 
Oakwood la scultura-monumento verrà svelata durante un Memorial Service 
dedicato agli immigranti italiani. Il sindaco ha già pronte le parole: 
«Dopo 115 anni è arrivato il tempo di onorare la memoria di uomini, 
donne, madri, padri, figli e figlie che hanno perso la vita in uno dei 
più tragici incidenti della storia degli Stati Uniti».
 
