Repubblica 23.9.16
E ora la manovra rischia di salire di altri cinque miliardi per non toccare l’Iva
Il retroscena. Senza flessibilità servono nuove risorse
di Roberto Petrini
ROMA.
E ora la manovra rischia di raggiungere i 10-12 miliardi. Se il “nein”
della Commissione alla flessibilità per il deficit 2017 sarà confermato
il conto di Renzi e Padoan si farà più salato. In queste ore, in vista
del varo della “nota” di aggiornamento al Def (Documento di economia e
finanza) di martedì prossimo, i tecnici hanno ripreso in mano le
forbici: ai 6-7 miliardi necessari per pensioni, povertà sviluppo,
contratti, se ne dovranno aggiungere altri 4-5 per sterilizzare
l’aumento dell’Iva visto che portare verso l’alto l’assicella del
deficit-Pil, oltre quanto parzialmente concesso nel maggio scorso, non
sarà consentito da Bruxelles. Di conseguenza: sanità, spending review,
Regioni, detrazioni, rientro dei capitali, giochi e tabacchi sono
oggetto di attento riesame. A questa operazione si sta affiancando una
riduzione al minimo delle misure di spesa spostando al 2018, magari
inserendo il tema in legge di Bilancio, la riduzione dell’Irpef e il
taglio del cuneo fiscale sulle buste paga.
A ciò si aggiunga che
quadro economico costringerà Padoan ad una indicazione realistica del
“numeretto” del Pil del prossimo anno: meno dell’1 per cento, cifra sul
quale ha pesato anche la ferma indicazione dell’Upb, l’ufficio
parlamentare di bilancio cui spetta il compito di “validare” le stime
del Def. Significa quasi mezzo punto in meno di crescita, che si
riflette in entrate inferiori e più spese per ammortizzatori sociali, e
dunque in un aumento del deficit-Pil di circa 0,4 punti nel biennio
2016-2017. Sebbene l’effetto della congiuntura negativa verrà
sterilizzato dalle regole europee, la strada si prospetta più faticosa.
La
questione principale resta la sostituzione, con corrispondenti tagli,
dell’aumento dell’Iva di 2 punti che la clausola di salvaguardia prevede
di far scattare il 1° gennaio 2017 e che Renzi ha ripetuto ieri di
voler evitare: si tratta di 15,1 miliardi, circa 1 punto di Pil. Gli
accordi di maggio con Bruxelles prevedono che metà di questa cifra venga
abbuonata consentendoci di arrivare dall’1,4 all’1,8 per cento del Pil,
mentre il resto pari a meno di mezzo punto di Pil ci costerà una
manovra di 6-7 miliardi.
A queste cifre si aggiungono le risorse
per fare il minimo di politica economica necessaria per rilanciare
consumi ed investimenti. La lista è lunga ma negli ultimi giorni, anche
sulla base della cautela del Tesoro, si sta accorciando. Il pilastro
della manovra restano le pensioni, frutto di una possibile intesa con i
sindacati, che tra quattordicesima e no tax area arrivano ad 1 miliardo,
mentre l’uscita anticipata potrebbe drenare meno risorse del previsto.
Povertà, famiglia e sociale stanno su cifre che si aggirano su 2-300
milioni. Per il contratto degli statali si comincia a pensare che per il
primo anno bastino 500 milioni. Nuova tassazione per le imprese
individuali e aumento del salario di produttività sono sotto
osservazione. Fatti i conti e esaminate le compatibilità, ai 6-7
miliardi necessari per farsi carico della sterilizzazione dell’Iva non
si può fare a meno di aggiungerne altri 4-5, per un totale di 10-12
miliardi.
Certo se ci fosse concesso quel quarto di punto relativo
agli investimenti rimasto inutilizzato quest’anno, sconto di cui, come
dice Juncker, siamo gli unici a beneficiare, emergerebbero 4 miliardi da
spendere riportando le lancette dell’orologio della manovra indietro a
6-7 miliardi. Ma la partita sembra sempre più difficile da giocare.
Altre opzioni non ce ne sono: a meno di ridurre lo stanziamento di 3
miliardi per il taglio dell’Ires che gli imprenditori dicono di aver già
messo nei bilanci delle proprie aziende per il 2017 oppure di toccare
il tabù dell’aumento dell’Iva (già rotto nell’ottobre del 2013 quando
salì all’attuale livello del 22 per cento). La proposta venne dalla
Corte dei Conti nel marzo scorso, ma su questo Matteo Renzi è
irremovibile.