venerdì 23 settembre 2016

Repubblica 23.9.16
Merola, sindaco di Bologna, attacca la gestione del partito: molto poco Democratica
“Sull’Italicum Il Pd faccia votare la base:  i militanti ci stanno abbandonando”
“Il ballottaggio funziona, ma deve essere possibile realizzare coalizioni al secondo turno”
intervista di Andrea Carugati

ROMA. «Lo statuto del Pd prevede che iscritti e elettori certificati delle primarie possano esprimersi sui temi più sensibili. Renzi si è detto aperto a modifiche dell’Italicum? Bene, è giusto che si esprimano i nostri elettori. Meglio se su una proposta unitaria e condivisa. O su più ipotesi alternative. Bisogna togliere questa discussione dall’autoreferenzialità delle correnti» spiega Virginio Merola, sindaco di Bologna rieletto in giugno. «Non credo che siamo di fronte al rischio di scissione, ma di un abbandono silenzioso dei militanti. Serve un di più di democrazia per rimettere in moto i nostri iscritti».
Un referendum interno potrebbe davvero aiutare a trovare una soluzione al rebus della legge elettorale?
«La contesa tra le correnti rischia di portate all’autodissoluzione il partito. In questa fase la gestione del Pd è assai poco democratica».
Renzi ripete da tempo che il Pd è l’unico grande partito in Italia con una vera democrazia interna.
« Il mio non è un attacco a Renzi. Trovo ad esempio incredibile che di fronte alle aperture del premier sulla legge elettorale, la minoranza abbia risposto alzando i toni del conflitto. Ma per guidare un partito non basta decidere, bisogna anche unire. Chi vince non può dire “ho vinto e si fa come dico fino al prossimo congresso”. Tra un congresso e l’altro un partito deve restare vivo. I segretari passano, conta la mission del Pd».
E quale sarebbe per lei la mission?
«Non basta rottamare, bisogna restaurare idee e valori condivisi, e per me sono quelli di una sana socialdemocrazia. Credo sia ora di organizzare il punto di vista di una nuova sinistra unitaria del Pd e aperta al confronto con personalità come Zedda e Pisapia. Una sinistra che si riconosca nella posizione del Sì al referendum e nella necessità di riformare la legge elettorale. Che metta al centro il rilancio dei diritti sociali, del lavoro, dell’equaglianza ».
Lei su Italicum e referendum si è schierato con il premier. Ha cambiato idea?
«Il ballottaggio funziona, come dimostra l’elezione dei sindaci. Eliminarlo per paura che vincano gli altri sarebbe un’ammissione di incapacità. Però vanno eliminate le preferenze a favore dei collegi uninominali. E poi dev’essere possibile fare coalizioni al secondo turno. Al referendum voterò Sì, ma nel rapporto tra Stato ed enti locali c’è un enorme problema che la riforma non risolve».
Ma è un tema sul tappeto da molti anni. Difficile ripartire da capo ora.
«Lo so. Ma che senso ha fare il Senato delle autonomie se poi i Comuni vengono privati di qualsiasi autonomia fiscale? E poi, come si fa a prendere voti nelle periferie se tagli fuori i Comuni da tutte le decisioni principali? È necessario un nuovo patto tra governo e sindaci. Non si possono abbassare le tasse a livello nazionale e scaricare sui sindaci l’onere di alzare le tariffe o tagliare i servizi. Ai Comuni serve un interlocutore unico al governo. E gli investimenti pubblici funzionano se sono discussi con i sindaci».