venerdì 23 settembre 2016

La Stampa 23.9.16
La tentazione proporzionale
di Francesco Bei

In questi giorni c’è un gran viavai davanti al ristorante Al Moro.
Nel locale dietro fontana di Trevi ha un tavolo fisso Denis Verdini (padre dell’Italicum prima versione). Tra una portata e l’altra il senatore spiega ai suoi commensali – tutti prima o poi ci finiscono a tavola: renziani, berlusconiani, leghisti, solo i bersaniani preferiscono incontrarlo lontano da occhi indiscreti – la sua ultima passione in tema di legge elettorale. La cara, vecchia proporzionale. Vista come unico antemurale all’avanzata dei Cinquestelle verso Palazzo Chigi. Ma siccome il Verdini ha la passione dell’ingegneria elettorale e non si accontenta di riproporre semplicemente la legge con cui gli italiani hanno votato dal 1948 al 1994, quello che sta venendo fuori è un inedito. Un ibrido. Via il ballottaggio, resterebbe il premio di maggioranza, ma per aggiudicarselo una coalizione o lista dovrebbe raggiungere almeno il 40 per cento dei voti. Altrimenti tana libera tutti, i seggi verrebbero distribuiti con la proporzionale. E la somiglianza, se le indiscrezioni fossero confermate, sarebbe in fondo più con la legge truffa del ’53 (che truffa non lo era affatto) che con i vari maggioritari sperimentati dopo. E’ chiaro a quel punto che la grande coalizione post-voto sarebbe obbligata, con un governo Pd-Forza Italia-Ncd-Ala. Una sorta di nuovo arco costituzionale che terrebbe fuori solo le forze antisistema, grillini e salviniani sovranisti.
E in questo c’è tutto il paradosso della vicenda italiana. La proporzionale, legge ufficialmente sponsorizzata dai Cinquestelle (nella loro versione detta Democratellum), viene studiata dagli avversari per tenerli lontani dal governo. E gli stessi grillini, pur dicendo di volerla, sotto sotto sperano che resti l’Italicum con il ballottaggio che li farebbe vincere. Quando si parla di legge elettorale tuttavia il diavolo fa le pentole ma non i coperchi e, per un’eterogenesi dei fini, chi si fa una legge per suonare di solito finisce suonato. Capitò alla Dc con il Mattarellum, pensato dopo il referendum Segni del ’93 per arginare la Lega, che portò alla vittoria di Berlusconi del 1994. Accadde con il Porcellum, escogitato dal governo Berlusconi alla fine del 2005 ma che l’anno successivo consegnò Montecitorio a una larga maggioranza di centrosinistra (ben 70 seggi di scarto), nonostante soli 24 mila voti di differenza, pari allo 0,07 per cento. Senza dimenticare in quello stesso 2006 la figura eroica di Mirko Tremaglia, che si batté tutta la vita per far votare gli italiani all’Estero e poi, quando finalmente ci riuscì, gli elettori scelsero la sinistra.
Insomma, la legge elettorale è una brutta bestia da cavalcare. Perché quando si sceglie l’ortopedia elettorale per raddrizzare un sistema politico, usciti dall’ospedale capita spesso di realizzare che a essere ingessata è la gamba sbagliata.