Corriere 23.9.16
Una mini costituente per la legge elettorale
di Marco Cianca
Votare
sì, votare no, non votare. L’amletico dubbio ammanta le menti, le
coscienze e i cuori dei molti che non hanno ancora deciso come
esprimersi quando saranno chiamati alle urne per approvare o bocciare la
riforma costituzionale voluta dal governo Renzi.
Altri
referendum, come quelli epocali su monarchia o repubblica e sul
divorzio, spaccavano il Paese in due, con posizioni chiare e nette.
Questa volta la farraginosità della materia sembra impedire una scelta
di merito. La velenosa e verbalmente violenta campagna che va avanti da
mesi, e che salirà di tono nell’approssimarsi dell’appuntamento, ha
ossessioni di contingenza politica che oscurano la sostanza della
riforma.
La miccia è stata accesa da Matteo Renzi quando ha
annunciato che in caso di sconfitta sarebbe andato a casa. Apriti cielo!
Il dibattito, pur già aspro, si è trasformato in un’ordalia, una conta
degli italiani non sulla trasformazione del Senato ma sull’attuale
governo.
Un errore madornale, anche se il Presidente del Consiglio
non voleva infilarsi in un plebiscito su se stesso ma ha espresso una
semplice verità: ho puntato tutto su questa riforma, se viene bocciata è
giusto che io getti la spugna. Ma nel Paese di Machiavelli ogni
comportamento pubblico, anche il più ovvio, è letto in un altro modo. La
coerenza non è mai riconosciuta come tale e assume subito il volto di
una mefistofelica macchinazione.
Bene ora ha fatto Renzi a
togliere di mezzo il suo destino politico, anche se molto tardi.
L’armata avversaria, rumorosa e variopinta è formata da una strana
alleanza, che va dalla sinistra del Pd a Matteo Salvini passando per
Beppe Grillo e Renato Brunetta. A guidare la carica è Massimo D’Alema,
combattente autentico, ferreo esponente di quella vecchia guardia che,
fedele ai propri principi, muore ma non si arrende. Onore delle armi ma
perplessità sulla scelta di campo.
Maria Elena Boschi forse non ha
lo spessore dottrinario di Gustavo Zagrebelsky ma perché frizzi e lazzi
maschilisti e senili non prendono nemmeno in considerazione quel che
dice?
Certo, la riforma è pasticciata. Il sistema di designazione
dei 95 nuovi senatori, 21 o 22 sindaci e 74 o 73 consiglieri regionali,
non è chiaro e da adito a numerosi interrogativi teorici e pratici,
anche se la stessa riforma, comma 6 del nuovo art. 57, rimanda le
modalità a una successiva legge. Ma non sarebbe il caso, come chiede ad
esempio Pier Luigi Bersani, di dire subito come si vuole procedere?
Piero Calamandrei invocava il bisogno di «chiarezza nella costituzione».
Come dargli torto?
L’altro punctum dolens è l’Italicum, appena
nato e già orfano. Il referendum non lo riguarda direttamente ma il
connubio tra modifica della Costituzione con la fine del bicameralismo
perfetto e un sistema elettorale ultra-maggioritario alimenta il timore
su una futura dittatura di una maggioranza artatamente costruita ai
danni di una minoranza spinta in un recinto. Il premio abnorme previsto
per il vincitore garantisce sì la governabilità ma a scapito della
rappresentatività e dell’uguaglianza del voto. Sosteneva Costantino
Mortati che è necessario assicurare «da una parte la stabilità e
l’unitarietà della direzione politica, dall’altra la tutela della
libertà, la certezza del diritto e il rispetto delle minoranze escluse
dal governo».
L’insigne giurista proponeva di costituzionalizzare,
in modo da rendere tutto trasparente, omogeneo, equilibrato, anche il
sistema elettorale (per la precisione era un proporzionalista). Perché
non si riparte da qui? Perché non riportare la discussione nell’ambito
di un più ampio confronto che tenga conto delle esigenze complessive,
politiche, sociali, culturali, economiche e non sia ispirata solo dalla
contingente strumentalità e dalle alchimie dei partiti? In questi
giorni, dopo la decisione della Corte di non togliere a nessuno le
castagne dal fuoco, è ripresa la battaglia tra nostalgici delle
preferenze, propugnatori del maggioritario, adepti del proporzionale,
difensori del ballottaggio. Uno spettacolo vecchio e desolante.
Una
sommessa proposta, per altro già avanzata, è quella di eleggere una
mini-costituente con il compito preciso di redigere una legge elettorale
adatta all’Italia, a tutta l’Italia, magari proprio da inserire nella
nuova Costituzione insieme con le regole per la composizione del Senato.
Un unicum saldo, affidabile, duraturo, condiviso.
Renzi abbia il
coraggio di lanciare un progetto del genere che troverebbe orecchie
attente anche nel centrodestra (Stefano Parisi ha prospettato pur in
maniera ingenua un’assemblea costituente tout court), sgombrerebbe il
campo dallo scontro sull’Italicum, e rimetterebbe lo scettro nelle mani
degli elettori. In un tale virtuoso contesto, parafrasando Benedetto
Croce, non si può non votare sì.