Repubblica 22.9.16
Alain Badiou “Nonni e nipoti salveranno il mondo”
Il filosofo francese che va oltre il pessimismo e lancia un appello ai giovani
intervista di Anais Ginori
PARIGI
«Che cos’è la vita vera? È l’unica domanda della filosofia ». Alain
Badiou si è messo in testa di corrompere i giovani. Non nel senso
venale, ma in quello filosofico, prendendo su di sé l’accusa che venne
fatta a Socrate quando venne condannato a morte per “corruzione della
gioventù”. L’intellettuale francese, 79 anni, pubblica un saggio col
quale spera di convincere i ragazzi a rinunciare alla ricerca di denaro,
piaceri e potere, per cercare La vera vita. «È un’espressione platonica
ripresa da Rimbaud che in un momento di disperazione scrive: “La vera
vita è assente”». Per rispondere alla famosa domanda si può dunque
cominciare a procedere per sottrazione. «Corrompere i giovani significa
rifiutare i sentieri tracciati, l’ordine costituito, l’obbedienza cieca»
racconta Badiou nell’appartamento parigino del quattordicesimo
arrondissement. L’intellettuale impegnato, già maoista, scrisse qualche
anno fa un popolare saggio contro Nicolas Sarkozy, visto come simbolo
dei “nuovi avventurieri” delle nostre democrazie, da Berlusconi a Trump.
«Con un capitalismo sempre più trionfante — commenta — il nostro
sistema politico va in crisi, perché la sinistra non è più capace di
mettere più un minimo di freno alle forze del mercato. La promessa di un
capitalismo dal volto umano ha fallito».
Perché ha deciso di rivolgersi ai giovani?
«Sono
partito da motivazioni personali, dell’osservazione dei miei figli,
dalle loro difficoltà a inserirsi nel mondo adulto. C’è poi il mio
lavoro da professore che mi ha sempre obbligato a rivolgermi ai giovani.
In fondo la filosofia è una forma di pedagogia, di volontà di
trasformare il pensiero all’origine. Il terzo motivo che mi ha spinto è
l’aver vissuto lo straordinario entusiasmo politico degli anni Sessanta e
Settanta, seguito dalla delusione e persino da forma di disperazione.
Una parte dei giovani vuole attingere a quell’esperienza, scavalcando i
genitori».
Nel libro teorizza una sorta di un’alleanza tra nonni e nipoti.
«È
un dato di fatto. Provi ad andare in qualche riunione politica,
l’opposizione è giovani e vecchi contro gli adulti. La mia generazione
può tramandare l’idea del possibile. La grande oppressione contemporanea
non è dire che il mondo di oggi sia il migliore — tutti ammettono che
non è ideale — ma nel voler convincere tutti noi dell’assenza di
alternative. La vera vita significa rifiutare quest’imposizione esterna
».
Il giovanilismo è una forma di oppressione?
«I giovani
sono i nuovi vecchi. Prima erano gli anziani i custodi dell’ordine
costituito, che preservavano l’equilibrio sociale. Oggi sono i giovani
perché è attraverso di loro, ma soprattutto dell’immagine della
giovinezza, che si perpetua il sistema della concorrenza, del successo,
della performance che rifiuta qualsiasi perdente. Voler rimanere giovani
è qualcosa che abbiamo sempre visto nell’umanità».
Chi era giovane negli anni Sessanta ha avuto più fortuna?
«Onestamente
penso di sì. L’universo della tradizione era ancora sufficientemente
forte per permettere alla rivolta di avere un senso all’interno della
modernità. La propaganda del capitalismo vuole imporre un’unica idea di
modernità o postmodernità, e forse un giorno post-postmodernità: alla
fine parliamo sempre della stessa cosa, visto che è scomparso l’ideale
rivoluzionario ».
Cosa significa oggi ribellarsi?
«Spesso la
rivolta resta intrappolata nel mondo contemporaneo, si riduce a essere
un sintomo della malattia. In Occidente, le rivolte sono per lo più
nostalgiche, tendono a voler conservare l’epoca d’oro del welfare, in
nome di un passato ormai superato. Penso ad esempio ai ragazzi del
movimento Occupy Wall Street che, pur con lodevoli intenzioni,
rappresentano un ridotto manipolo della classe media minacciata, una
protesta piccolo- borghese destinata a svanire nel nulla, in mancanza di
un legame con i veri diseredati del pianeta. L’altro tipo di ribellione
che osserviamo tra i giovani è quella nichilista, che nasce nella
modernità occidentale ma la vuole combattere. Il terrorismo islamico, ad
esempio. Nessuna di queste è una vera rivolta. Il Ventunesimo secolo
dovrebbe essere un nuovo Settecento, un secolo di nuovi Lumi, e noi
filosofi dovremmo esercitare la nostra funzione destabilizzante».
Esiste una “falsa vita”?
«L’antitesi
non è falsa, ma buona. Una buona vita, secondo le convenzioni, è
un’esistenza orientata verso la comodità, il tornaconto personale,
l’accumulazione individuale. La vera vita è invece una ricerca di
condivisione, porta in sé un’energia creatrice, da cui far scaturire un
nuovo sistema di valori universali. È quel che Senofonte descrive
nell’Anabasi, ovvero la risalita, l’erranza, lo sradicamento. In
definitiva significa vivere, e non sopravvivere ».
Lei riduce tutto alla crisi del capitalismo?
«L’Occidente
attraversa una crisi più profonda, siamo nel mezzo di quel disagio
della civiltà di cui già parlava Freud. La simbologia è stata distrutta
dal capitale, come Marx aveva annunciato. Per questo credo in una
ripartenza individuale, in compagnia dell’umanità intera.
Una
nuova simbolizzazione egualitaria. Se accetteremo la logica di dominio
del capitalismo, andremo verso cataclismi. Tutti i drammi dell’umanità
vengono dall’incontro tra meccanismi di potenza e disuguaglianza.
Persino la ricchezza dell’aristocrazia durante l’Ancien Régime non
provocava squilibri forti come quelli di oggi».
La “simbolizzazione egualitaria” di cui lei parla non è già fallita nel Novecento?
«Non
ho problemi a riconoscere il fallimento del comunismo, ma non accetto
l’ordine costituito del capitalismo, che sta producendo un caos
mondiale, con diseguaglianze spaventose. La cosiddetta ideologia
neoliberista, direi anzi liberista tout court perché si ripete da due
secoli, è una semplice volontà di dominio. Dobbiamo invece creare nuove
ideologie, senza prendere il rischio di riprodurre eredità del passato,
escatologie rivoluzionarie sbagliate non solo sul piano empirico ma
anche ideologico, perché opponevano la potenza dello Stato a quella del
capitale. Confesso di non sapere, esattamente, cosa si dovrebbe fare.
Già porsi la domanda, ed esprimere un’esigenza, mi pare un progresso.
Sono comunque ottimista. Il capitalismo è giovane, ha solo qualche
secolo. È diventato egemonico nell’Ottocento, poi c’è stata una
contro-teoria, il comunismo, tramontata nel Ventesimo secolo. Il primo
round è finito. Sta per cominciare il secondo. E noi stiamo nella fase
di mezzo, quella più incerta e difficile».