giovedì 22 settembre 2016

Repubblica 22.9.16
Giuseppe Laterza:
“Le tribù di Torino e Milano hanno ucciso il Salone”
Giuseppe Laterza è presidente della casa editrice di famiglia che ha sede a Bari e a Roma
intervista di Simonetta Fiori

Parla Giuseppe Laterza: “La gestione del Lingotto è stata un suicidio ma l’Aie non ha portato una sola nuova idea per il progetto di Rho Non si tratta così un ministro che ha mostrato attenzione per la lettura”
«Né Milano né Torino: la mia prima reazione, per non cedere allo sconforto, è stato pensare ad altre iniziative, alla periferia delle grandi città o nei piccoli paesi della Puglia». Il giorno dopo i funerali del Salone del libro, di una fiera unica tra Milano e Torino, Giuseppe Laterza mette a punto nuovi progetti. E passa in rassegna gli errori dell’establishment editoriale. «Sono mancati inventiva e coraggio. Invece di pensare a qualche cosa di nuovo — e questo spettava soprattutto ai milanesi — si è pensato a prendere una cosa già esistente e trasferirla altrove. Ma non ho visto idee forti neppure sul fronte torinese. Spero che arrivino».
La proposta dell’Aie suggeriva una spaccatura netta: editori a Milano, librai a Torino.
«Una proposta ai limiti della provocazione. Intanto quella della grande libreria è un’idea copiata da Rocco Pinto, inventore dei Portici di carta: dov’è l’invenzione? E poi è stato un modo per pronunciare un no secco a qualsiasi ipotesi di condivisione. Come dire: da una parte i Sioux, dall’altra gli Apache, mentre il ministro aveva chiesto di sedersi sotto la stessa tenda per gestire insieme il territorio del libro. Ha prevalso un criterio tribale».
All’origine della frattura, si giustificano gli editori, c’è la cattiva gestione torinese.
«E chi la nega? Si tratta di responsabilità gravissime. Quando un sindaco neoletto riesce a farsi dimezzare il costo del Lingotto da una società, la GL Events, che negli anni precedenti aveva preteso cifre assurde, vuol dire che qualcosa non ha funzionato. E ci sono state gravi colpe anche nella comunicazione: i dati sull’affluenza del pubblico erano diversi da quelli divulgati. E aggiungo un altro errore significativo: quando mai hanno chiesto un parere agli editori? L’unica richiesta riguardava gli autori famosi da portare al Lingotto. Però poi da Torino si sono detti disponibili a ricominciare da capo: e qui ha sbagliato l’Aie, che ha sbattuto la porta. È stato il primo di una catena di errori».
Ossia?
«Intanto l’associazione doveva dare vita a un dibattito pubblico, non ritirarsi negli uffici milanesi. E poi l’errore più grave è stato quello di chiudere le porte in faccia alle istituzioni pubbliche. Un’associazione di categoria non può permettersi di trattare in questo modo due ministri che hanno mostrato un’attenzione per nulla scontata. Un motto napoletano dice: fai o’ gallo ‘ncoppa ‘a munnezza, vuole dire vuoi controllare il tuo mucchietto personale sottraendoti al confronto. Ma questa è una logica miope che non fa bene al mondo della lettura, dove si consumeranno lacerazioni anche personali. E fa malissimo all’associazione degli editori. Un autolesionismo irragionevole».
Ora l’Aie guarda già alla sua fiera milanese, persuasa che sarà un’iniziativa economicamente fruttuosa.
«L’editore deve guardare ai profitti. Ma deve anche promuovere la cultura in un paese che ha grosse difficoltà. Mi ha colpito — nell’intervista di Franceschini su Repubblica — il suo appello a uno sforzo collettivo, a un grande ruolo nazionale. Noi che pubblichiamo i libri dei grandi narratori e dei grandi filosofi, noi che dovremmo avere una visuale più lunga, non possiamo limitarci a calcoli terra terra: a Milano venderemo più che a Torino… Me lo auguro, ma non basta ».
Sta dicendo che affiora un forte limite culturale dell’establishment editoriale?
«Un tempo gli editori erano gli imprenditori più spericolati, quelli che si giocavano tutto nell’innovazione delle idee. Dobbiamo tornare a quella vocazione. Non ho in mente l’editore snob, assistito, che con i soldi di famiglia gestisce la casa editrice come fosse il suo feudo. Ho in mente un imprenditore che sperimenta, muovendosi con umiltà e in condivisione con gli altri».
Come spiegherà questa vicenda ai suoi colleghi di Gallimard?
«Non dovrò spiegargliela. Alla Fiera di Francoforte, tra qualche settimana, si daranno di gomito: ah, les italiens! I soliti individualisti, genio e sregolatezza».
Da dove possiamo ripartire?
«Dalle periferie, dove accadono le cose più interessanti. Tutti insieme: editori, librai, bibliotecari, insegnanti. Se restiamo divisi, come potremo mai convincere i lettori che leggere è un fattore di coesione sociale? È anche per parlare di questo che il 4 novembre ci ritroveremo a Mantova per il nostro Forum del Libro. Il tema è “la lettura come comunità”. Speriamo di non essere smentiti».