Corriere 22.9.16
Due Saloni del libro, che malinconia!
di Beppe Severgnini
«Milano
e Torino, rottura sui Saloni». Del titolo — impeccabile — sul Corriere
di ieri, propongo un’interpretazione brutale: basta, questa storia ci ha
stancato! Due belle città in crescita riescono a litigare, come due
paesotti confinanti per una questione di sagre concorrenti. Invece di un
grande Salone Italiano del Libro, per competere con Francoforte e
Londra, due saloncini, preceduti da innumerevoli polemiche, litigi,
accuse, ripicche.
Perché è accaduto? Perché gli editori
italiani si sono spaccati? Giuro: non lo so. Scrivo per i giornali da
trentacinque anni, pubblico libri da ventisette, ho partecipato una
decina di volte al Salone di Torino, lavoro a Milano: e non l’ho capito.
L’ho chiesto ad altri autori, giornalisti culturali, direttori
editoriali, agenti letterari: non l’hanno capito neppure loro. E quando
nessuno capisce, perdonate, la colpa è di chi spiega.
L’unica
cosa certa è che — cito il ministro Dario Franceschini — «ci ritroviamo
con due Saloni del Libro a 100 chilometri di distanza che si faranno una
concorrenza sfrenata e questo è un pessimo risultato non solo per il
Paese ma anche per la filiera dell’editoria e per il mondo del libro».
Un peccato: perché Milano e Torino hanno il respiro dell’Europa; e
l’Italia, oggi più che mai, offre al mondo un luogo fascinoso e sicuro
dove ragionare insieme di cose belle, come i libri.
Guardate
Festivaletteratura di Mantova, che ha appena festeggiato la XX edizione.
Un grande successo: in Europa non c’è nulla del genere, neppure
Hay-on-Wye, in Galles, che fornì l’ispirazione. Non lo dico io, lombardo
e italiano; lo dicono i grandi scrittori internazionali, che fanno la
fila per esserci. Certo, Mantova è una festa per autori e lettori, un
Salone del Libro è anche un’occasione d’incontro e di lavoro per gli
editori. Ma viene un sospetto: Festivaletteratura è in salute anche
perché gli otto fondatori (un libraio, un commercialista, una
gallerista, un architetto etc.) non hanno tollerato intrusioni. A Milano
e a Torino si sono impegnati la politica, le amministrazioni locali,
l’industria, le banche: il risultato, lo vediamo.
Potevano
chiamarlo MiTo, potevano chiamarlo ToMi (si parla di libri, no?). Non lo
chiameranno, invece; perché il Salone italiano del libro non ci sarà.
Gli autori, nel 2017, dovranno scegliere: Milano o Torino? Magari tutt’e
due? Personalmente, non ho dubbi: né qui né là, con un po’ di
malinconia.