mercoledì 21 settembre 2016

Repubblica 21.9.16
Il ballo in maschera della riforma
di Stefano Folli

COME era prevedibile, sta ricominciando il ballo parlamentare intorno alla legge elettorale. Servirà solo a creare un’altra cortina fumogena, non certo a regalare agli italiani in tempi brevi una norma migliore dell’Italicum. Per questo si dovrà attendere una causa di forza maggiore, ossia l’obbligo di intervenire per non creare un vuoto legislativo. Se l’obbligo manca, la classe politica non affronterà la questione, se non in modo scenografico e fittizio, preferendo limitarsi a lanciare segnali al proprio elettorato. Come hanno fatto ieri i Cinque Stelle, i più svelti e anche i più spregiudicati.
È noto che agli amici di Grillo l’Italicum va più che bene. Coltivano addirittura la speranza di vincere le elezioni e comunque, allo stato delle cose, sono certi di essere ammessi al ballottaggio, il più desiderato dei palcoscenici. Tuttavia il M5S ha sempre contrastato in Parlamento l’attuale legge elettorale, a differenza di quegli esponenti del Pd che oggi vi si oppongono dopo averla votata fra Camera e Senato. Quindi nella logica “grillina” è conveniente aprire il fuoco contro lo status quo. Qual è la critica più ricorrente all’Italicum? Quella di essere un modello che non garantisce il rapporto fra elettori ed eletti e dunque la cosiddetta “rappresentanza”, privilegiando un sistema ingessato dal premio di maggioranza a tutto vantaggio di chi governa.
Ecco allora che i Cinque Stelle propongono la proporzionale e addirittura le preferenze, uno schema che è perfettamente agli antipodi della legge elettorale vigente. È un ritorno alla prima Repubblica, come subito è stato detto? Forse, ma non sembra che il Movimento se ne curi. Così come non si preoccupa della contraddizione messa in luce fra gli altri da Giorgio Tonini del Pd: con una legge siffatta i Cinque Stelle dovranno per forza studiare un sistema di alleanze in Parlamento, proprio loro che sventolano la bandiera dell’intransigenza solitaria.
È ovvio che prevale un gioco tattico interno al palazzo. Nessuno dice tutta la verità. I Cinque Stelle gettano un sasso nel campo dei loro avversari politici, dove le nostalgie proporzionaliste sono diffuse quanto ancora celate. Li invitano a uscire allo scoperto, pronti tuttavia a prenderne le distanze e a metterli alla gogna come “casta” incorreggibile. Quanto a Renzi, la sua preferenza per l’Italicum è nota. Né gli interventi espliciti di Giorgio Napolitano né quelli impliciti e sommessi di Sergio Mattarella gli hanno fatto cambiare idea. È solo costretto dalle circostanze a dichiarare una “disponibilità” circa la revisione della legge. Prioritario per lui è mantenere coesa la maggioranza, protetta dal rischio di una frattura con i centristi di Alfano. Ecco il motivo del voto annunciato su una mozione comune. Un fatto procedurale: nel merito il governo studierà, verificherà, ma è poco probabile che offra al Parlamento una proposta conclusiva in vista di introdurre un modello alternativo all’Italicum. In ogni caso, attenderà il risultato del referendum.
La scelta della Corte Costituzionale di rinviare ogni decisione di merito lo aiuta. Tanto è vero che la ministra Boschi è tornata a sostenere un vecchio argomento: non esiste alcun nesso fra riforma costituzionale e legge elettorale. In realtà il nesso esiste in termini politici ed è solido, come il dibattito pubblico dimostra ogni giorno. La legge elettorale è piombo nelle ali della riforma, ma è vero che il futuro è tutto da scrivere. Se vincerà il No, sarà indispensabile riscrivere dalle radici la norma, visto che l’Italicum è stato concepito per un sistema monocamerale e invece avremo di nuovo un Senato elettivo.
Anche in caso di vittoria del Sì un intervento del Parlamento sarà indispensabile in relazione alla pronuncia che ci si attende dalla Consulta. Potrebbe essere più circoscritto e indolore, ma nessuno può dirlo oggi. Se il problema fosse il premio di maggioranza abnorme, ecco che l’intera cornice dell’Italicum sarebbe messa in discussione. Forse è opportuno che Renzi prenda lui un’iniziativa, muovendosi da protagonista, anziché limitarsi ad assistere al ballo del Parlamento. Gli gioverebbe in vista del dopo: se per ipotesi il premier fosse sconfitto nel referendum, la trattativa per la nuova legge non passerebbe più dalla sua scrivania. Anche se egli restasse a Palazzo Chigi.