Repubblica 20.9.16
Tutti pazzi per Putin
di Roberto Toscano
SAREBBE
difficile mettere in dubbio che Vladimir Putin sia oggi uno dei
protagonisti delle relazioni internazionali. Si tratta di un fenomeno
per molti versi sorprendente, se pensiamo che è il presidente di un
paese che — dal punto di vista territoriale, economico, militare e
persino sotto il profilo della capacità di esercitare un’influenza
globale di tipo ideologico — è soltanto una versione molto ridotta dello
stato che l’ha preceduto, l’Unione Sovietica. Ma è proprio in questa
perdita di forza e di prestigio, e soprattutto dello status di
superpotenza, che va ricercata una spiegazione della “irrestistibile
ascesa” di Putin, passato in pochi anni da tenente colonnello del Kgb a
novello Zar. I russi hanno accolto Putin come l’artefice di un riscatto
da una doppia umiliazione: quella della storica sconfitta dell’Urss e
quella del caos dei primi anni della Russia post-sovietica.
Molto
più difficile è invece spiegare i motivi di un altro fenomeno: la
popolarità di Putin in settori ridotti, ma non insignificanti,
dell’opinione pubblica di una serie di paesi, e le manifestazioni di
approvazione nei suoi confronti e di ostentata affinità da parte di
dirigenti politici occidentali.
Non vi è dubbio che Putin, e con
lui molti altri dirigenti politici del nostro tempo, sia un populista
doc. Ma non basta dire populismo per spiegare l’attrattiva, non solo
politica ma anche personale, che Putin riesce ad esercitare oltre i
confini della Russia. Un’attrattiva che nella maggioranza dei casi non
coincide con un’adesione alla sua politica estera, tanto che — come
ultimamente è risultato da inchieste giornalistiche negli Stati Uniti —
le stesse persone possono esprimere apprezzamento di Putin come leader e
dire che considerano la Russia un pericoloso avversario. In altre
parole, oggi Putin è molto più popolare della Russia.
Sarebbe
assurdo sostenere che Donald Trump è filorusso, ma la sua ammirazione
per Putin sembra autentica. Come ha detto lo storico Timothy Snyder, il
fatto è che Putin è la versione reale della persona che Trump pretende
di essere in televisione.
Putin piace perché dice esplicitamente
di no a una globalizzazione che ha troppo promesso e poco mantenuto, sia
in termini di benessere diffuso che di sicurezza, e lo fa ridando
legittimità a una visione “classica” della sovranità che rilancia il
mito di una sovranità nazionale assoluta — mito mai realmente estinto,
ma che era rimasto a lungo silenzioso di fronte alla fase dell’egemonia
di visioni transnazionali della politica e dell’economia. L’odierna
caduta di credibilità dei progetti rivolti al futuro fa sì che a molti
appaia convincente immaginare che le soluzioni ai problemi del nostro
tempo si possano trovare tornando al passato, dalla Grande Russia
all’“America First” a una Francia repubblicana culturalmente omogenea.
Anche
il linguaggio è importante, e colpisce in particolare la forte
coincidenza fra Putin e Trump contro la cosiddetta “correttezza
politica”. Non si può certo dire che fino a poco tempo fa non ci fossero
più razzisti, omofobi, antifemministi, ma oggi — grazie a una sorta di
autorizzazione che proviene da leader considerati come finalmente capaci
di parlare fuori dai denti — razzisti, omofobi, antifemministi (sì,
quei “deplorevoli” di cui ha imprudentemente parlato Hillary Clinton)
hanno perso il pudore, e rivendicano il proprio odio e i propri
pregiudizi. Viene in mente Altan quando, negli anni ’80, pubblicò una
delle sue incomparabili vignette: «E’ venuto il momento di dirlo alto e
forte: porco è bello».
Ma non basta. Putin piace proprio come
persona soprattutto perché è un vero macho. Non si tratta solo di una
politica d’immagine, come farsi fotografare con una tigre, a torso nudo,
a cavallo di una motocicletta, o in un incontro di judo, ma di una
realtà. La gente percepisce che Putin è davvero un duro, qualcuno
cresciuto da ragazzo nei quartieri bassi di Leningrado, dove le ragioni
della forza prevalevano sempre sulla forza della ragione: “ Mi rendevo
conto — leggiamo nella sua autobiografia — che in ogni situazione, sia
che avessi ragione o che avessi torto, dovevo essere forte e dovevo
essere pronto in ogni momento a rispondere a un’offesa o a un insulto”.
In
un mondo in cui il terrorismo è diventato una paura diffusa a livello
universale non sono pochi quelli che risultano sensibili al fascino del
duro, di una sorta di Clint Eastwood politico che elimina i malvagi
senza guardare troppo per il sottile. Lo ha detto recentemente Matteo
Salvini, «lunga vita a Putin. Ce ne fossero di più come lui, avremmo
meno delinquenti e terroristi». Duterte, presidente delle Filippine, si
vanta delle centinaia di boss della droga, piccoli spacciatori e
semplici tossicomani fatti fuori e buttati in mare «per ingrassare i
pesci». Putin a suo tempo assicurava che i terroristi ceceni sarebbero
stati «fatti secchi nel cesso».
Non importa che questi metodi
servano a placare le paure piuttosto che a dare davvero una soluzione ai
problemi del terrorismo e della criminalità comune. Proprio com’ è
assurdo pensare di trovare nel passato la soluzione dei problemi del
nostro tempo.
Ma il putinismo funziona, e non solo in Russia.