lunedì 19 settembre 2016

Repubblica 19.9.16
La Grande Mela non si ferma, elogio della città invincibile
A poche ore dall’attacco nel punto dell’esplosione c’era chi faceva jogging.Qui da secoli le nuove paure si sovrappongono alle vecchie: ma nessuno ne resta schiavo
Da quindici anni luogo simbolo della devastazione terroristica, New York ha mostrato ancora una volta di essere pronta ad affrontare tutto e a ripartire. Trasformando così il terrore in un’illusione
di Vittorio Zucconi

APPENA dodici ore dopo l’esplosione, le ambulanze, il panico e l’ansimare delle televisioni, Chelsea era tornato a essere se stesso.
L PIÙ diverso, il più multiculturale, il più vivo quartiere di Manhattan, come è ogni domenica mattina. E gli spacciatori di terrore, chiunque essi siano, avevano perso un’altra battaglia.
New York, da 15 anni la città simbolo della devastazione terroristica, non si ferma. Non fu fermata dall’oscena mutilazione dell’undici settembre del 2001 e non si è piegata a piangersi addosso dopo gli ordigni improvvisati esplosi e inesplosi di Chelsea sabato notte, come non si sono fermate Boston, Londra, Madrid, Parigi, Orlando e tutte le altre comunità dopo il morso rabbioso dei fanatici organizzati o degli stragisti free lance. La sanguinaria illusione della violenza che crede di paralizzare metropoli e nazioni con atti di terrore si rivela, attentato dopo attentato, appunto, un’ illusione.
Nella infinita capacità di adattamento della nostra specie, si creano e si sovrappongono nuove forme di normalità, dentro le quali impariamo a vivere la quotidianità, non incosciente, ma neppure paralizzante. E poche altre città come New York hanno stratificato nei secoli e nelle maree di umanità che l’hanno inondata senza mai affondarla, hanno raffinato l’arte della sopravvivenza.
Proprio Chelsea, già ghetto della povertà e della malavita irlandesi, “Cucina dell’Inferno” violento, macelleria animale e umana, divenuta oggi una delle zone boom dell’immobiliare e della cultura, è il bersaglio più stupido che i seminatori di paura potessero scegliere.
E’ possibile che quell’esplosione e quella pentola a pressione fortunatamente disinnescata spostino di qualche tacca la bilancia del duello elettorale fra Hillary Clinton e Donald Trump. La “minaccia del terrore”, come da tempo tutti sapevano e nessuno osava dire, avrebbe favorito il bullo sulla signora, il “maschio alfa” sulla prima donna candidata. E la reazione burocratica di lei rispetto alle smargiassate di lui ha confermato la vera debolezza di Hillary, che non è fisica nè politica, nè certamente di genere, ma di temperamento, nella sua incapacità di mostrare passione, calore, umanità ed empatia. La sua prima risposta, burocraticamente corretta, ha ricordato con un brivido agli elettori democratici, il formalismo legalistico con il quale Michael Dukakis nel dibattito con George Bush il Vecchio rispose a chi gli chiese che cosa avrebbe fatto se avesse visto la moglie aggredita.
Ma fuori dal clima elettorale di questi giorni, non sono le risposte dei candidati o dei sondaggi quelle che contano, è la risposta di quella città universale chiamata New York. Nella dolorosa certezza che la guerra dichiarata 15 anni or sono continuerà, che il velenoso ciarpame umano ed esplosivo visto sabato sera a Chelsea avrà emuli e repliche spontanee o teleguidate, è il comportamento delle comunità ferite l’arma che a lungo termine sconfiggerà il nemico.
Non ci saranno presidenti maschi o femmine, conservatori o progressisti, servizi segreti, polizie, droni o reggimenti che potranno impedire a due fratelli ceceni a Boston, a una coppia di San Bernardino, a un gruppo di assassini che si credono martiri a Parigi, tutti già cittadini e residente, di fabbricare petardi micidiali o di impugnare quelle armi d’assalto che – in un sublime paradosso – proprio Trump “il cane alfa” vuole vendere liberamente a tutti. Ci saranno invece le città come New York dove l’economia locale, la Borsa, i valori immobiliari, le microimprese, i ristoranti, il turismo, l’occupazione sono cresciuti dopo l’11 settembre in una spinta furibonda di auto ricostruzione. E si vedevano signore in tuta fare tranquillamente jogging mattutino a Chelsea, alle spalle di giornalisti che raccontavano di una città terrorizzata.
Questa, che vedremo oggi, lunedì mattina, nei tunnel e nei ponti che portano a Manhattan, nei treni dei pendolari tristi, nel traffico infartato da quell’ Assemblea dell’Onu che una volta all’anno martirizza New York, nei coffee shop affollati di studenti che sfruttano il wi-fi gratuito in cambio di pessimi cappuccini, è la nuova normalità del nostro tempo, il “New Normal”. E’ il tempo nel quale è lecito avere nuove paure, che si affiancano e si sovrappongono a quelle vecchie, ma senza diventarne schiavi. E senza dimenticare che ogni anno muoiono sotto colpi di armi da fuoco negli Usa più persone di quante Al Qaeda, Isis, le loro succursali, i battitori liberi, i free lance del terrore di ogni ispirazione o colore, abbiano mai sognato di uccidere dal 2001 a oggi negli Stati Uniti. New York non si ferma, lasciando ai bordi della propria strada le anime dannate a consumarsi nel loro odio impotente.