Repubblica 19.9.16
I padroni dei semi
Dopo l’operazione Bayer-Monsanto l’agricoltura nelle mani di tre colossi
di Ettore Livini
Il
Grande fratello dei semi si prepara a ridisegnare il futuro
dell’agricoltura mondiale. Il suo mantra ideologico — basta leggere i
siti dei colossi del settore — è sempre lo stesso. «Una persona su otto
va a letto affamata — recita quello della Dupont — . Se vogliamo
garantire cibo a tutti nel 2050 dobbiamo aiutare i contadini a rendere
più produttivi i campi». Come è sotto gli occhi di tutti: le 7mila
aziende sementiere attive nel 1981 sono quasi sparite. Un’ondata di
fusioni e acquisizioni ha concentrato il 63% del mercato nelle mani di
tre colossi (Dow-Dupont, ChemChina- Syngenta e Bayer-Monsanto). Le
stesse società — guarda caso — che controllano il 75% del business di
pesticidi e diserbanti in un groviglio di conflitti d’interessi in cui
«l’industria è costretta a vendere i semi assieme ai prodotti
agrochimici per non fare harakiri», come accusa Vincenzo Vizioli,
presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologia. Ultimo e più
famoso esempio: il discusso ed efficacissimo glifosato (unico neo, è un
sospetto cancerogeno) promosso in rigorosa abbinata con i semi hi-tech
modificati per resistere ai suoi effetti.
L’era del seme unico —
dicono i critici — ha già avuto effetti devastanti: la Fao ha
certificato che nel ventesimo secolo, a forza di specializzare le
colture, abbiamo perso il 75% della biodiversità e che un altro terzo se
ne andrà entro il 2050. Uno scotto da pagare, dice l’industria:
sviluppare un seme super efficiente (e spesso transgenico) può costare
136 milioni di dollari, un nuovo pesticida può arrivare a 250 milioni.
«Solo le imprese di grandi dimensioni hanno i soldi per la ricerca
necessaria alle sfide del futuro — spiega Lorenzo Faregna, direttore di
Agrifarma, l’organizzazione degli imprenditori di settore — E la fanno
con controlli rigidissimi. In Italia, per dire, siamo monitorati da tre
ministeri: Ambiente, Salute e Agricoltura».
I risultati, assicura
la European seed association, la potentissima lobby di settore, si
vedono: incroci e selezioni usciti dai laboratori dei big dei semi
«contano per il 74% degli aumenti di produttività in campo agricolo e
hanno garantito carboidrati, proteine e oli vegetali per 100-200 milioni
di persone aggiungendo 7mila euro di reddito agli agricoltori».
Chi
lavora davvero la terra la pensa in un altro modo: «Stiamo creando un
oligopolio pericoloso per contadini e consumatori — dice Roberto
Moncalvo, presidente Coldiretti — . Il modello proposto dai big del
settore, semi standardizzati e omologati assieme ai fitofarmaci, non
funziona più. Le grandi aziende controllano i prezzi, ovviamente a loro
uso e consumo. E vanno controcorrente in un mondo dove le coltivazioni
Ogm stanno calando e dove la tendenza è rilanciare la biodiversità e
ridurre, come si fa con successo in Italia, l’uso di pesticidi e
diserbanti».
La natura, in effetti, ha imparato a difendersi
dall’assalto della chimica di sintesi. Il 98% delle coltivazioni di soia
e il 92% di quelle di mais negli Usa sono seminati con Ogm. Ma le erbe
infestanti sono riuscite in poche stagioni a sviluppare resistenza ai
fitosanitari con cui vengono trattate. E molti contadini a stelle e
strisce — complice pure il crollo dei prezzi delle materie prime —
iniziano a dubitare che il gioco (vale a dire il prezzo altissimo di
sementi e agrochimica hi-tech) valga la candela.
La “triade” del
seme, ovviamente, non ha nessuna intenzione di cedere le armi
facilmente. Il modello delle sementi ereditarie — quello che funziona da
millenni e prevede la conservazione di parte di un raccolto per
piantarlo l’anno successivo — è un pericolo per i profitti.
E un
paio di pionieri dell’Ogm hanno già brevettato “Terminator” (il nome
dice tutto) un seme autosterile, che genera frutti e semi che non sono
in grado di riprodursi, obbligando il contadino a rifornirsi da loro a
ogni stagione. L’arma finale cui nessuno — per fortuna — ha dato ancora
l’autorizzazione al commercio. L’ingegnerizzazione e la privatizzazione
delle piante segue però anche altre strade. Come quella, più tortuosa ma
più efficace, del brevetto. L’industria ha depositato all’Ufficio
europeo brevetti 1.400 richieste di autorizzazione per usare in
esclusiva varietà di piante selezionate con metodi naturali, come fanno
da millenni contadini e natura senza accampare diritti monetari. E 180
sono stati approvati come il Broccolo Monsanto (Ep1597965), una pianta
normalissima il cui fusto è stato indebolito naturalmente solo per
favorire la raccolta meccanica.
Il risiko dei semi del resto,
assicurano i guru della finanza, è solo l’inizio e tra poco darà il via
all’integrazione verticale tra i ricchissimi produttori di macchine
(come Deere e Cnh) e i big nati dalle fusioni degli ultimi mesi. Con nel
mirino le meraviglie dell’agricoltura hi-tech a base di droni e
satelliti. Sarà davvero il modo per dare da mangiare a tutti?
«Tutt’altro — conclude Moncalvo — . La strada è un’altra. Già oggi un
terzo di quello che viene prodotto in campagna viene sprecato e non
consumato. Basterebbe recuperarlo e già oggi ci sarebbe cibo per tutti i
10 miliardi di persone che abiteranno il pianeta nel 2050».