Repubblica 17.9.16
Quel patto segreto tra fede e dubbio che ci rende umani
In
apparenza sono due concetti antitetici come ci ha insegnato certa
dottrina. Ma in realtà la prima può nascere solo dal secondo
Anche perché entrambi ci portano dal terreno della pura ragione al coraggio di scegliere
di Vito Mancuso
Questo
è il testo della lectio che l’autore terrà domani a Brescia, alle ore
18, all’Università Cattolica, nell’ambito degli incontri “ Aspettando il
Concerto” del festival LeXGiornate, in corso fino al 24 settembre
Comunemente
si ritiene che fede e dubbio siano opposti, nel senso che chi ha fede
non avrebbe dubbi e chi ha dubbi non avrebbe fede. Ma non è per nulla
così. L’opposto del dubbio non è la fede, è il sapere: chi infatti sa
con certezza come stanno le cose non ha dubbi, e neppure, ovviamente, ha
bisogno di avere fede. Così per esempio affermava Carl Gustav Jung a
proposito dell’oggetto per eccellenza su cui si ha o no fede: «Io non
credo all’esistenza di Dio per fede: io so che Dio esiste» (da “Jung
parla”, Adel–
phi, 1995). Chi invece non è giunto a un tale sapere
dubita su come stiano effettivamente le cose, non solo su Dio ma anche
sulle altre questioni decisive: avrà un senso questa vita, e se sì
quale? La natura persegue un effettivo incremento della sua
organizzazione? Quando diciamo “anima” nominiamo un fenomeno reale o
solo un arcaico concetto metafisico? Il bene, la giustizia, la bellezza,
esistono come qualcosa di oggettivo o sono solo provvisorie
convenzioni? E dopo la morte, il viaggio continua o finisce per sempre?
Dato
che i più su tali questioni non hanno un sapere certo, generalmente si
risponde “sì” all’insegna della fede oppure “no” all’insegna dello
scetticismo, in entrambi i casi privi di sapere, al massimo con qualche
indizio interpretato in un modo o nell’altro a seconda del previo
orientamento assunto. Così, sia coloro che hanno fede in Dio sia coloro
che non ce l’hanno, fondano il loro pensiero sul dubbio, cioè
sull’impossibilità di conseguire un sapere incontrovertibile sul senso
ultimo del mondo e della nostra esistenza. La fede, in altri termini,
positiva o negativa che sia, per esistere ha bisogno del dubbio.
La
tradizionale dottrina cattolica però non la pensa così. Per essa la
fede non si fonda sul dubbio ma sul sapere che scaturisce da una precisa
rivelazione divina mediante cui Dio ha comunicato se stesso e una serie
di ulteriori verità dette “articoli di fede”. Tale rivelazione
costituisce il depositum fidei, cioè il patrimonio dottrinale custodito e
trasmesso dalla Chiesa. Esso conferisce un sapere denominato dottrina
che illumina quanti lo ricevono su origine, identità, destino e morale
da seguire. Non solo; a partire da tale dottrina si configura anche una
precisa visione del mondo: l’impresa speculativa delle Summae theologiae
medievali, di cui la più nota è quella di Tommaso d’Aquino, vive di
questa ambizione di possedere un sapere certo su fisica, metafisica ed
etica, di essere quindi generatrice di filosofia.
Tale
impostazione regnò per tutto il medioevo ma venne combattuta dalla
filosofia moderna e dalla rivoluzione scientifica. Il fine non era
negare la fede in Dio bensì il sapere filosofico e scientifico che si
riteneva discendesse da essa, per collocare la fede su un fondamento
diverso, senza più la presunzione che fosse oggettivo: Kant per esempio
scrive di aver dovuto «sospendere il sapere per far posto alla fede» (
Critica della ragion pura, Prefazione alla seconda edizione, 1787),
mentre più di un secolo e mezzo prima Galileo aveva dichiarato che
«l’intenzione dello Spirito Santo è d’insegnarci come si vada al cielo, e
non come vada il cielo» (Lettera a Cristina di Lorena del 1615). Non
furono per nulla atei i più grandi protagonisti della modernità, tra cui
filosofi come Bruno, Cartesio, Spinoza, Lessing, Voltaire, Rousseau,
Kant, Fichte, Schelling, Hegel, o scienziati come Copernico, Galileo,
Keplero, Newton. Il loro obiettivo era piuttosto di ricollocare la
religiosità sul suo autentico fondamento: non più un presunto sapere
oggettivo, ma la soggettiva esperienza spirituale.
A tale modello
di fede non interessa il sapere, e quindi il potere che ne discende, ma
piuttosto il sentire, e quindi l’esperienza personale. Non è più
l’obbedienza a una dottrina dogmatica indiscutibile a rappresentare la
sorgente della fede, ma è il sentimento di simpatia verso la vita e i
viventi. In questa prospettiva, ben prima di creden- za, fede significa
fiducia. Quando diciamo che una persona è “degna di fede”, cosa vogliamo
dire? Quando alla fine delle nostre lettere scriviamo “in fede”, cosa
vogliamo dire? Quando un uomo mette l’anello nuziale alla sua donna e
quando una donna fa lo stesso con il suo uomo, cosa vogliono dirsi? C’è
una dimensione di fiducia che è costitutiva delle relazioni umane e che
sola spiega quei veri e propri patti d’onore che sono l’amicizia e
l’amore. Se non ci fosse, sorgerebbero solo rapporti interessati e
calcolati: nulla di male, anzi tutto normale, ma anche tutto ordinario e
prevedibile. Solo se c’è fiducia-fede nell’altra persona può sorgere
una relazione all’insegna della gratuità, creatività, straordinarietà, e
può innescarsi quella condizione che chiamiamo umanità.
E la fede
in Dio? Quando si ha fiducia-affidamento nella vita nel suo insieme,
percepita come dotata di senso e di scopo, si compie il senso della fede
in Dio (a prescindere da come poi le singole tradizioni religiose
concepiscano il divino). Nessuno veramente sa cosa nomina quando dice
Dio, ma credere nell’esistenza di una realtà più originaria, da cui il
mondo proviene e verso cui va, significa sentire che la vita ha una
direzione, un senso di marcia, un traguardo. Credere in Dio significa
quindi dire sì alla vita e alla sua ragionevolezza: significa credere
che la vita proviene dal bene e procede verso il bene, e che per questo
agire bene è la modalità migliore di vivere.
Ma questa convinzione
è razionalmente fondabile? No. Basta considerare la vita in tutti i
suoi aspetti per scorgere di frequente l’ombra della negazione, con la
conseguenza che la mente è inevitabilmente consegnata al dubbio. In
tutte le lingue di origine latina, come anche in greco e in tedesco, il
termine dubbio ha come radice “due”. Dubbio quindi è essere al bivio,
altro termine che rimanda al due: è vedere due sentieri senza sapere
quale scegliere, consapevoli però che non ci si può fermare né tornare
indietro, ma che si è posti di fronte al dilemma della scelta.
Ha
affermato il cardinale Carlo Maria Martini: «Io ritengo che ciascuno di
noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro,
che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande
pungenti e inquietanti l’un l’altro. Il non credente che è in me
inquieta il credente che è in me e viceversa» (dal discorso introduttivo
alla Cattedra dei non credenti). Ragionando si trovano elementi a
favore della tesi e dell’antitesi, e chi non è ideologicamente
determinato è inevitabilmente consegnato alla logica del due che genera
il dubbio. Il dubbio però paralizza, mentre nella vita occorre procedere
e agire responsabilmente. Da qui la necessità di superare il dubbio. Il
superamento però non può avvenire in base alla ragione che è
all’origine del dubbio, ma in base a qualcosa di più radicale e di più
vitale della ragione, cioè il sentimento che genera la fiducia che si
esplicita come coraggio di esistere e di scegliere il bene e la
giustizia. Ma perché alcuni avvertano in sé questo sentimento di fiducia
verso la vita e altri no, rimane per me un mistero inesplicabile.