Repubblica 17.9.16
Il mondo di un bambino salvato dalle parole
Esce il nuovo libro di Andrea Bajani un romanzo di formazione che racconta la scoperta del dolore
di Massimo Recalcati
In
questo ultimo libro di Andrea Bajani si racconta la storia di un
bambino che diventa uomo e scrittore (la sua? non si narra sempre la
propria storia? ogni scrittura non è, a suo modo, sempre
autobiografica?). Al centro due grandi temi ricorrenti nel lavoro
letterario di Bajani: quello del dolore e quello delle parole. Da dove
viene il dolore? Come si può vivere senza farsene divorare? A cosa
servono le parole? Cosa significa scrivere? “Un bene al mondo” (Einaudi)
è un racconto di formazione. E come ogni racconto di formazione è il
racconto di un viaggio: un bambino lascia il proprio paese per la città,
lascia il suo essere bambino per diventare un uomo, ovvero per
diventare scrittore. La sua atmosfera è quella magica della fiaba. Il
dolore non accade nel corpo o nell’anima ma viene descritto come una
presenza esterna che accompagna assiduamente la nostra vita. Viene
rappresentato come un essere vivente, un animale (un cane?) che vive
seguendo come un’ombra le vite umane. Ringhia, spalanca paurosamente la
bocca, mostra i denti, morde, oppure trema, si nasconde e si lascia
carezzare teneramente. Si può chiuderlo a chiave in un luogo
inaccessibile, segregarlo, escluderlo dalla nostra vita – come cerca di
fare il padre del bambino – ma questo non attenuerà la sua rabbia. Si
possono preferire – come accade per un certo tempo al bambino – i morti
ai vivi perché i morti sono senza più alcun dolore. Ma da dove viene il
dolore? Il primo è quello che si eredita dall’Altro. Nel caso del
bambino è quello che la madre gli infila dentro la sua culla metallica
appena nato. Ecco, tieni tu il mio dolore! L’eredità materna – come
accede anche in un altro formidabile romanzo di Bajani titolato Se
consideri le colpe – può essere fatta di vuoto e di dolore. Là era
narrata la storia di una madre che non aveva mai trovato un posto, né
nella sua famiglia di origine che la riteneva una “pecora nera”, né in
suo marito o nel suo amante che alla fine della sua vita la scaricherà
per una donna più giovane. Anche qui come in Se consideri le colpe il
dolore inquieto della madre allaga la vita del bambino. Negli occhi
della madre “non c’era nessuno”, solo un grande vuoto. Come non
affogarvi dentro, come non perdersi nel suo mare nero? La vita umana è
circondata dal dolore. Per il bambino protagonista del racconto il
dolore del padre era ancora più grosso e rabbioso di quello della madre.
Come non farsi schiacciare dal dolore della vita degli altri? Non c’è
incubo peggiore di accorgersi di essere prigionieri del dolore di un
altro.
Le parole sono, insieme al dolore, l’altro grande
protagonista di questo libro come di tutti i libri di Bajani. Esse sono
innanzitutto un modo di trattare il dolore di esistere. Le parole
appaiono là dove il mistero del dolore si fa più fitto e impenetrabile.
Dove la cartografia antica non era più in grado di disegnare i confini
del mondo. Il bambino conosce un modo per trattare il dolore: è quello
di metterlo “dentro le lettere” che egli scrive ad una “bambina sottile”
che abita nel suo piccolo paese e nel suo cuore. Nell’ultimo raccolta
di brevi racconti intitolata
La vita non è in ordine alfabetico
emergeva con forza il carattere magico delle parole. Le lettere
dell’alfabeto contenute nello scrigno che il maestro mostrava ai bambini
nel loro primo giorno di scuola, l’importanza vitale del miracolo della
lingua: le parole non sono il contrario della vita, la loro
rappresentazione indebolita, disincarnata, non sono solo un rifugio, ma
una possibilità per la vita. Le parole non sono cose morte ma hanno una
vita: colpiscono, feriscono, uccidono, ma sanno anche fare volare,
desiderare, amare, aprire mondi nuovi. Le parole hanno un rapporto
speciale col dolore: possono provocarlo ma possono anche essere il loro
rimedio. Non è forse questo il tema stesso della scrittura? La
letteratura non suppone forse che la parola possa essere causa di vita e
di morte? Ecco perché per Bajani scrivere non è mai un divertissement,
non è mai un edonismo privo di responsabilità; assomiglia piuttosto ad
un’esigenza del corpo, ad una necessità primaria come mangiare, correre o
respirare. Senza dolore la vita non è umana – è la vita di Dio o quella
di un giglio –; ma consegnata al dolore senza alcuna distanza la vita
si prosciuga e si annienta. Diventa solo una “merda”, come lascia
scritto il padre morto suicida della bambina sottile. Si tratta di
mettere invece il dolore nelle parole. In questo modo il dolore non è il
male ma finisce per assomigliare agli angeli di Wenders ne Il cielo
sopra Berlino: custodi premurosi di una vita. Le frasi possono diventare
case-rifugio ma anche città aperte. Le lettere possono essere come
l’acqua per i fiori, scrisse la bambina al bambino diventato uomo. È il
miracolo dell’amore: dare forma alla vita come le «formine che i bambini
usano in spiaggia» sanno trasformare «la sabbia, per farla diventare
castello, casa, automobile, fiore, farfalla». Questo miracolo, il
miracolo dell’amore, non è lo stesso che si compie anche nella
scrittura? Le parole, come l’amore, non sono come “maniglie” che aprono
un’infinità di porte? Il bambino è diventato un uomo e l’uomo è
diventato uno scrittore. Questi non porta più con sé il dolore come una
bestia che aggredisce e del quale deve chiedere scusa. Innanzitutto non
lo porta più sempre con sé. «Per questo tutti i giorni quest’uomo si
siede al tavolo, accanto alla finestra, apre un quaderno, apre una
pagina nuova, e ce lo fa correre dentro».
IL LIBRO Un bene al mondo di Andrea Bajani ( Einaudi pagg. 134 euro 16,50)