sabato 17 settembre 2016

Repubblica 17.9.16
I big M5S avvisano il fondatore “Non ci fidiamo più di Virginia”
La sindaca incassa altri no per la sua giunta
I sospetti del direttorio sulle manovre Frongia-Coni per non ritirare la candidatura di Roma 2024
di Giovanna Vitale

ROMA. Tempo al tempo. «Ragazzi state calmi, non è il momento di fare casino». L’ordine, partito dall’alto, è chiaro. Dopo il post di Grillo, che l’altro ieri aveva dato sì fiducia a Virginia Raggi, ma condizionata all’attuazione del programma fondato sul no alle Olimpiadi, bisogna solo aspettare. Per verificare se la sindaca di Roma farà quanto le è stato “suggerito”. Perciò basta attacchi sui social, il dissenso deve essere silenziato, parlamentari e consiglieri comunali trattengano i mal di pancia. Persino l’assemblea degli autoconvocati, che doveva tenersi oggi al teatro Golden sulla Via Tuscolana per far sfogare la base, viene cancellata.
Attendere Virginia al varco: è questa la strategia, adesso. Partendo però da un presupposto, che Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista spiegano al garante senza girarci intorno: nessuno, nel Movimento, si fida più di lei. È questo che i cinque del direttorio, chiamati uno a uno da Grillo per tentare di governare il caos, ribadiscono al fondatore. Tutti convinti che la fonte della fuga di notizie, degli sms e delle mail finite sui giornali che hanno inguaiato i Cinquestelle, sia proprio l’inquilina del Campidoglio. La miccia che ha fatto implodere il vertice 5 stelle, ormai precipitato in un gorgo di sospetti e rancori nel quale rischia di finire inghiottito innanzitutto l’aspirante candidato premier: «La verità», sussurra a Grillo l’ortodosso Roberto Fico, «è che molti di noi cominciano a diffidare pure di Luigi».
È in questo clima di astio non più represso che matura la decisione del capo: dichiarare la tregua su Virginia. Giusto il tempo necessario a stanarla. Per appurare se abbia sostanza quel che sospettano tanti, nel Movimento: l’esistenza di una trattativa segreta fra il vicesindaco Frongia e il presidente del Coni Malagò per arrivare il più possibile vicini alla dead line del 7 ottobre (stabilita dal Cio) e aprire così la strada a ricorsi giudiziari che mettano la sindaca con le spalle al muro. Lo scenario peggiore per il M5s. Da scongiurare a ogni costo.
La tattica prevede allora di far filtrare l’ultimatum lanciato da Grillo nel corso di alcune conversazioni coi parlamentari. «Lasciamola lavorare perché a breve arriverà il no alle Olimpiadi e farà una bella conferenza stampa», fa sapere il fondatore, segnando la strada. «Deve portare avanti il nostro programma per Roma», è la seconda prescrizione. Spingendosi a fissare persino una scadenza: «A gennaio facciamo il tagliando, ma ora serriamo le fila e mettiamola alla prova».
Regole di ingaggio rigidissime, che riducono ogni spazio di manovra. Raggi lo capisce e dal Campidoglio fa partire una nota che annuncia il suo no ai Giochi per la prossima settimana. In conferenza stampa. La data non c’è ancora. Ma un motivo sì: la sindaca confida, per quel giorno, di potersi presentare con la squadra capitolina al completo, dopo le dimissioni a catena che l’hanno falcidiata. Il problema è che la caccia all’assessore al Bilancio e al capo di gabinetto non ha finora prodotto l’esito sperato. Dopo aver sondato magistrature, autority e forze dell’ordine ha solo inanellato una sfilza di no. La coda di candidati che premeva dietro la sua porta dopo le elezioni, si è dissolta. Anche il nome indicato da Marco Travaglio, al quale lei ha chiesto aiuto, ha declinato. E per la giunta è ancora buio pesto.