Repubblica 17.9.16
domani le elezioni parlamentari
Russia al voto sotto l’effetto Crimea
Per far (stra)vincere il suo partito, Putin conta ancora sul nazionalismo
di Antonella Scott
Mosca
Il biglietto da visita delle elezioni parlamentari di domani potrebbe
essere il tesserino del metrò di Mosca che capita in mano in questi
giorni. «Noi costruiamo il ponte – proclama l’immagine orgogliosa di un
autista di Krasnodar -, è la mia strada verso casa!». Il ponte di
Crimea, intende, che si sta costruendo a tappe forzate tra Mar Nero e
Mar d’Azov per saldare anche fisicamente la penisola “ritrovata” alla
madrepatria russa.
Cominciando dal metrò, Vladimir Putin non
vorrebbe perdere occasione per parlare di Crimea agli elettori. È a
Kerch – l’estremità orientale della penisola che andrà a collegarsi
all’altra costa russa – che il presidente si è fatto riprendere in
questi ultimi giorni di campagna, scrupolosamente sempre a fianco di
Dmitrij Medvedev, primo ministro e leader del partito Russia Unita.
Dalla Crimea Putin ha invitato i russi a recarsi a votare, dal momento
che «dipende solo da voi come sarà il nuovo Parlamento». Perché queste
elezioni in uno Stato fortemente centralizzato, di cui già sembra di
conoscere il risultato, solo in apparenza sono completamente scontate:
sotto la superficie si nascondono diversi elementi di incertezza, per
questo il Cremlino le prende sul serio. Preoccupato che con il passare
del tempo l’effetto della sua carta migliore – la Crimea – inizi a
svanire.
«È stata l’annessione della Crimea nel marzo 2014 a
determinare l’umore degli elettori – osserva Denis Volkov, sociologo
dell’autorevole Centro Levada -. Per la maggior parte della popolazione
quello è stato un momento di gloria, di riscoperta della Russia come
grande potenza, alla pari degli Stati Uniti. Qui la nostalgia per la
grandezza sovietica è profonda. Per questo la Crimea è stata accolta con
tanta euforia, vissuta come una rivalsa da chi aveva vissuto come un
trauma la fine dell’Urss, si era sentito umiliato dal confronto con
l’Occidente. Violare le regole internazionali diventava un segno della
grandezza del Paese. La popolarità di Putin (oggi all’82%, ndr) è
rimbalzata in un paio di settimane». Dando il colpo di grazia a quello
che era rimasto delle proteste antigovernative nate dall’ultima tornata
elettorale, tra il 2011 e il 2012.
Ma gli ultimi sondaggi, tra cui
quello del Centro Levada finito nella lista delle organizzazioni non
governative bollate come “agenti stranieri”, hanno decretato un calo dei
consensi per Russia Unita, il partito del potere molto distante, in
ogni caso, dai livelli di popolarità di Putin. La grande preoccupazione è
che sia la crisi a incidere, man mano che si fa sentire su fasce sempre
più ampie della popolazione. «Finora il malumore è ben lontano
dall’esplodere ed è improbabile che si verifichino proteste di massa
come nel 2011 – dice Volkov -. Per via della Crimea la legittimità del
sistema ancora tiene. Ma questo tipo di crisi economica procede
gradualmente: nel lungo termine, l’effetto si farà sentire».
Putin
non poteva prendere rischi. Paradossalmente, per rinsaldare il sistema
che lo deve accompagnare al voto che lo riguarderà direttamente - le
presidenziali del 2018 - alle elezioni di domani il presidente ha
bisogno di un risultato credibile, che non possa essere messo in
discussione dagli avversari del Cremlino: una riesplosione della
protesta politica, in questo scenario di crisi economica, potrebbe avere
effetti devastanti. Per questo l’apparato ha mescolato alle misure
repressive con cui ha spento le dimostrazioni del 2012 una serie di
concessioni: i partiti in gara domani sono più numerosi che in passato.
Tra i candidati ammessi, incredibilmente, 19 sono appoggiati dall’uomo
che 13 anni fa pagò con il carcere i finanziamenti dati all’opposizione,
Mikhail Khodorkovskij. E a capo della Commissione elettorale centrale,
screditata dai brogli del 2011, Putin ha chiamato Ella Pamfilova,
rispettata attivista per i diritti umani che in pochi mesi ha cercato
disperatamente di dare credibilità al sistema: «Non è più tempo di
percentuali di voto del 99%», ha chiarito rivolta ai governatori
regionali, auspicando che queste «siano elezioni di cui non dobbiamo
vergognarci».
Il pieno utilizzo delle “risorse amministrative” a
vantaggio del partito del potere, del resto, dovrebbe rendere superflui i
brogli. Le pressioni invisibili sugli elettori che dipendono dal
potente di turno nelle province, nelle fabbriche, negli ospedali, negli
uffici; l’uso smodato dai media a vantaggio di Russia Unita; le
restrizioni alla campagna elettorale delle opposizioni, guardate a
vista, tutto questo farà in modo che il meccanismo assicuri la vittoria
del sistema.
Che può contare anche sui partiti della cosiddetta
opposizione “fedele”, dai comunisti ai populisti di Vladimir
Zhirinovskij, cooptati dal Cremlino come veicoli che assorbono la
protesta antigovernativa pur restando leali; e sul ritorno al sistema
elettorale misto, voluto per distribuire la metà dei 450 seggi della
Duma in collegi uninominali dove si scommette sulla maggiore influenza,
ancora una volta, dei candidati di Russia Unita. Tutto sembra sotto
controllo: «Così strettamente – ironizza Khodorkovskij dal suo esilio in
Svizzera – che non potrà passare neppure un topolino». Tra elezioni
libere e un voto totalmente manipolato, il Cremlino potrebbe aver
trovato la terza via.