Repubblica 17.9.16
Da Ventotene a Bratislava
di Franco Venturini
Nessuno
si aspettava che il consulto di Bratislava potesse guarire la malattia
esistenziale dell’Europa, ma non era nemmeno previsto che al termine del
vertice il presidente del Consiglio italiano sparasse ad alzo zero sui
ritardi e sulle disfunzioni dell’Unione. Mentre la Cancelliera Merkel e
il presidente Hollande assicuravano in una conferenza stampa congiunta
che sulle rive del Danubio era stato fatto un buon lavoro, Matteo Renzi
si è detto di avviso contrario. continua a pagina 28
R enzi ha
usato una fermezza di linguaggio raramente riscontrabile negli annali
degli appuntamenti europei. «Non sono soddisfatto delle conclusioni», ha
detto, e «non devo fare una recita a copione per far vedere che siamo
tutti uniti». Così, oltre ad esprimere il suo giudizio negativo sugli
esiti dell’incontro, Renzi ha spiegato il fatto di non essere a fianco
della Merkel e di Hollande.
Ma la requisitoria non si è fermat
qui. Non tutto è andato come doveva andare, ha insistito Renzi, sui
temi-chiave dell’immigrazione e della crescita economica. E ancora, il
fiscal compact non funziona, la Germania non rispetta la regola sul
surplus commerciale, la crescita langue, e poi la stoccata finale: «Se
l’Europa deve riavvicinarsi ai cittadini non può impedirmi di
intervenire sull’edilizia scolastica» . Ovvio riferimento alla richiesta
italiana di escludere dal calcolo del deficit alcune spese relative al
dopo-terremoto.
Tutto vero, ma anche tutto sorprendente. Non per
l’irritualità, che anzi serve talvolta a bilanciare una tradizione
italiana di eccessiva prudenza. Ma piuttosto perché Matteo Renzi ha
deciso di andare all’assalto di una Europa effettivamente smarrita
davanti alle istanze dei suoi popoli nel momento in cui, da Ventotene a
Maranello, all’Italia era stato riconosciuto un ruolo di primissimo
piano favorito dal distacco della Gran Bretagna. A Bratislava questo
ruolo si è dissolto nell’assemblea dei Ventisette? È possibile, ma era
anche prevedibile. E ora, mantenendo tutta la fermezza necessaria sulla
questione dei migranti e riaffermando che i margini di flessibilità sono
necessari, servirà al governo l’ennesima correzione di rotta.
Altrimenti le celebrazioni di marzo a Roma per il sessantesimo dei
Trattati non soltanto non saranno più il punto di arrivo della
«riflessione» collettiva lanciata ieri, ma rischieranno di diventare
anche una occasione politicamente scomoda.
Bratislava, beninteso,
non è stata soltanto Renzi. Troppo divisi sulla diagnosi e troppo
attenti ai loro privati interessi, i ventisette dottori chiamati al
capezzale dell’Unione hanno riscontrato una seria nevrosi: l’Europa oggi
non si piace, non sa come vuole essere domani, e nel frattempo rischia
la frammentazione. Così, disarmati da una sceneggiatura che prevedeva
dosi inadeguate di coraggio politico, i capi di Stato e di governo si
sono accontentati di un minimo comun denominatore che dirà assai poco a
quei popoli europei che, con la scheda elettorale in tasca, reclamano
risposte sull’ondata migratoria, sul terrorismo e sullo stato
dell’economia.
Non può rassicurare il fatto che i dirigenti
europei stiano affrontando una fase di assoluta emergenza con il passo
dell’ordinaria amministrazione. La road map di riflessioni e di proposte
sull’Europa del futuro troverà sul suo cammino ostacoli formidabili che
in terra slovacca sono stati accuratamente infilati sotto il tappeto.
L’integrazione differenziata è l’unica àncora di salvezza disponibile,
ma nessuno l’ha definita ed è dubbio che essa possa funzionare anche
nello zoccolo duro. Il recupero delle istanze sociali che il populismo
anti-europeo raccoglie un po’ ovunque richiede interventi immediati. E
il progetto di difesa europea, se rappresenta certamente un passo
avanti, riguarderà soltanto marginalmente i fenomeni migratori e la
lotta al terrorismo.
Nel frattempo il Gruppo di Visegrad si
presenta ormai ai vertici europei con una agenda concordata e separata,
che punta esplicitamente a una «contro-rivoluzione culturale» che
dovrebbe restituire sovranità ai singoli Stati. E continua a rifiutare
le quote obbligatorie per la redistribuzione dei migranti, come Renzi ha
focosamente ricordato. In Olanda, dove si voterà a marzo, la destra
favorita ha promesso un referendum sull’Europa. Poi viene la Francia,
dove una vittoriosa Le Pen renderebbe vana ogni riscossa europeista. E
in Italia ci sarà il referendum che inquieta i nostri soci e alleati, e
ci sono i Cinque Stelle che non hanno mai rinunciato a un referendum
sull’euro. Infine il test decisivo tra un anno, nelle urne tedesche. Se a
fare la diagnosi non ci avranno già pensato altri.