Il Sole 17.9.16
Se l’Europa prova a uscire dalla prognosi riservata
di Adriana Cerretelli
L’Europa
resta in camera di rianimazione ma forse si prepara a uscire dalla
prognosi riservata. «Oggi abbiamo fatto il primo passo su una strada che
sarà lunga» ha riassunto alla fine del vertice Angela Merkel. «Con la
Gran Bretagna fuori, i 27 devono dare una nuova prospettiva all’Unione e
decidere che cosa si vuole fare insieme per i nostri popoli» ha
insistito François Hollande, al suo fianco.
Francia e Germania in
una conferenza stampa congiunta ieri, come non accadeva dal vertice Ue
dal 2012, per sottolineare la gravità del momento e l’urgenza di un
colpo di reni collettivo per guarire l’Europa dalle troppe crisi
riconciliandola con
i suoi cittadini, il loro
bisogno di sicurezza, di sviluppo, di lavoro, prima di tutto giovanile.
Francia
e Germania insieme ma niente direttorii: un rapporto aperto e inclusivo
che, hanno ripetuto tanto il cancelliere tedesco quanto il presidente
francese, trova nella cabina di regia anche il contributo dell’Italia di
Matteo Renzi.
Niente miracoli a Bratislava. Però la nascita di
uno spirito costruttivo, tutto da verificare alla prova dei fatti. Che
per ora si limitano a produrre un programma di lavoro per i prossimi sei
mesi, con una scadenziario di nuovi appuntamenti al vertice: in ottobre
e dicembre a Bruxelles, in febbraio a Malta e in marzo a Roma, quello
conclusivo, in un’occasione solenne, l’anniversario dei 60 anni della
firma del Trattato di Roma. Poi si vedrà come andare avanti.
La
montagna ha partorito il topolino? Di sicuro. Ma il rischio era che non
riuscisse nemmeno a fare quello, viste divisioni, conflitti di
interessi, recriminazioni, sfiducia generalizzata e la raffica di
elezioni che attendono al varco Olanda, Francia e Germania da qui
all’autunno del 2017. Con il contesto avvelenato, anche un calendario
condiviso diventa una conquista. Come le 3 grandi priorità sulle quali
si concentreranno i lavori dei prossimi mesi, nella
speranza di arrivare già in marzo al varo di qualche misura concreta.
Le
scelte erano già note e tutte puntate a rispondere con i fatti a ansie e
frustrazioni degli europei. Dunque, prima di tutto il capitolo
sicurezza, che vuol dire protezione rafforzata delle frontiere, lotta al
terrorismo e apertura del cantiere dell’euro-difesa, dovere di dare
asilo ai rifugiati e aiuti ai paesi di prima linea come Italia, Grecia e
Bulgaria ma
anche diritto di respingere
e rimpatriare gli immigrati irregolari.
Poi crescita economica, investimenti e lavoro puntando sull’agenda digitale, quella energetica e sulle infrastrutture.
Infine
i giovani, la garanzia contro la disoccupazione e parallelamente il
rafforzamento delle politiche di sviluppo con l’Africa, compresa la
prospettiva di accordi del tipo di quello Ue-Turchia con i paesi più
esposti ai flussi migratori.
Accordo sul calendario naturalmente
non vuole affatto dire accordo sui contenuti di scelte e decisioni
future. Su entrambe ci sarà tutto il tempo di litigare. Del resto già
ieri se ne è avuto un assaggio significativo.
Il fronte dell’Est
parlando con la voce del gruppo di Visegrad, Polonia, Ungheria, Cechia e
Slovacchia, sui rifugiati ha rivendicato forte e chiaro «una
solidarietà flessibile», in breve il ripudio delle quote per
redistribuirli. La Merkel sembra possibilista, visto che ieri ha
sottolineato che «l’Europa vive di compromessi e bisognerà trovare altri
approcci dato che la nostra decisione a maggioranza incontra
opposizione».
Il fronte mediterraneo invece, che ieri ha dovito
incassare la plateale diserzione della Francia, nella sua battaglia per
politiche di bilancio meno rigoriste e più flessibili per favorire la
crescita non ha incontrato altrettanta disponibilità. Almeno non apertis
verbis: le elezioni in Germania non lo consentono. Difficile però che
nei fatti non si continuerà con l’approccio cautamente soft, già usato
con l’Italia prima e poi con Spagna e Portogallo, tenendo conto che
tutti i candidati repubblicani alle presidenziali francesi annunciano
pubblicamente che, se eletti, non rispetteranno la regola del deficit
del 3%.
Nessuna novità davvero sostanziale, quindi, da Bratislava
ma un atteggiamento business-like che potrebbe prima o poi fare
atterrare l’Europa dei 27 sul pianeta della concretezza e del
pragmatismo: un cemento più moderno ed efficace per rimettere insieme i
pezzo di un'integrazione allo sbando.