Corriere 17.9.16
Gli interventi degli Stati Uniti nella politica interna italiana
risponde Sergio Romano
Non
riesco a comprendere per quale ragione l’ambasciatore statunitense in
Italia non può dare un giudizio politico sul nostro referendum mentre
tutti i nostri politici tranciano giudizi di qualunque tipo (anche molto
salati) sui politici americani, per esempio sui due contendenti delle
prossime elezioni presidenziali. Su quale argomento politico è lecito
per entrambe le parti dare un giudizio politico e su quale no?
Vittorio Zanuso
Caro Zanuso,
Gli
uomini politici hanno un mandato popolare e la facoltà di commentare
liberamente tutti gli eventi che possono interessare il loro Paese.
Siamo in un mondo sempre più interconnesso, come ha ricordato il
presidente della Repubblica, ed è evidente che la scelta del capo di una
grande potenza abbia conseguenze anche per coloro che di questo evento
sono semplici spettatori. Gli ambasciatori, invece, non hanno un mandato
popolare. Sono funzionari mandati in giro per il mondo a rappresentare
il loro governo presso un governo straniero.
So che non è facile
tracciare una linea tra dichiarazioni opportune e inopportune. Ma non è
necessario essere particolarmente versati nell’esercizio di questo
mestiere per sapere che una consultazione elettorale, come quella che
avrà luogo in novembre, divide la società, crea schieramenti
contrapposti, suscita emozioni e si presta a teorie strumentali sugli
interessi in gioco. Aggiungo che i popoli, anche quelli che parlano
spesso male del proprio governo, non desiderano ricevere consigli e
istruzioni da un Paese straniero. Personalmente credo nella utilità
delle riforme istituzionali del governo Renzi e voterò sì, ma non
riconosco all’ambasciatore degli Stati Uniti, in questa delicata
materia, il diritto di darmi consigli.
Suppongo che lei, caro
Zanuso, potrebbe chiedermi ora se l’intervento dell’ambasciatore
americano mi abbia sorpreso. Le risponderei di no. Vi sono stati altri
casi in cui la diplomazia americana è intervenuta in vicende interne di
altri Paesi, e ve ne è stato uno, in particolare, che concerne l’Italia.
Accadde nel gennaio 1978 quando le agenzie di stampa diffusero una
dichiarazione del Dipartimento di Stato (il presidente era Jimmy Carter,
il segretario Cyrus Vance) sulla situazione politica italiana. Le
questioni più dibattute in quei giorni erano il compromesso storico e la
possibile formazione di un governo Andreotti con la partecipazione del
Pci. Nel comunicato era scritto: «L’atteggiamento del governo
statunitense nei confronti dei partiti comunisti dell’Europa
occidentale, compreso quello italiano, non è in alcun modo mutato. (…) I
leader democratici devono dimostrare fermezza nel resistere alla
tentazione di trovare soluzioni tra le forze non democratiche».
Andreotti si dimise quattro giorni dopo e impiegò due mesi per formare
un governo democristiano con il sostegno del partito comunista, del
partito socialista, del partito social-democratico e del partito
repubblicano.