Repubblica 17.9.16
La libertà di avere la privacy
di Stefano Rodotà
POSSIAMO
riportare sotto l’impero della legge l’aggressività e persino la
crudeltà rivelate dalla Rete? Questo interrogativo compare sempre più
spesso perché lo ha imposto la forza delle cose, determinando il
mutamento di un’attitudine sociale all’origine assai ostile a invocare
la privacy, ritenuta poco più che un’inutile perdita di tempo
burocratico e divenuta oggi non solo una sorta di riferimento obbligato,
ma un diritto fondamentale invocato persino in situazioni nelle quali
non sarebbe strettamente necessario.
Tutto questo è l’esito di un
processo che ha confermato con intensità crescente che davvero “noi
siamo le nostre informazioni”. E poiché è divenuto tecnologicamente
sempre più agevole raccogliere, conservare e diffondere le informazioni
personali, non è aumentata soltanto la trasparenza sociale di ciascuno,
ma la possibilità degli altri di intervenire attivamente nella
costruzione della sua stessa identità. Si è determinata una situazione
per qualche aspetto persino paradossale, per cui si è sempre più spesso
in presenza di casi di separazione tra autonomia e intenzionalità della
persona e costruzione di una sua identità socialmente rilevante. Sono
gli altri a definirmi e a presentarmi alla collettività.
Ma il
determinare questa situazione, per la sua rilevanza sociale, implica
anche responsabilità. Chi compie la doppia operazione della mia
costruzione non può ritenere di farlo a costo zero. Non a caso si è
scritto che “l’identità — la sostanza di ciò che siamo e del modo in cui
siamo in relazione con gli altri — si trova nel mezzo di un tempo di
straordinario tumulto”. Un tumulto che ha come primo, essenziale e
talora perfino involontario protagonista proprio il soggetto di cui
diviene possibile la diretta e agevole conoscenza, anche
indipendentemente da qualsiasi sua decisione in tal senso. Ma questa
constatazione di fatto non può poi far concludere che sia legittimo non
tenere in alcun conto la sua volontà, collocando la sua identità in
qualsiasi contesto e facendola circolare indipendentemente dalla
consapevolezza delle conseguenze che tutto questo può determinare.
Invocare
in questo più largo contesto la privacy non vuol dire soltanto, come
vorrebbe la vicenda d’origine, esigere riservatezza, ma andare oltre. Il
tema vero, a questo punto, è divenuto quello della libertà della
persona. La rinnovata fortuna della privacy ha proprio qui il suo
fondamento.
Entrati pienamente come siamo in un tempo di
larghissima trasparenza personale, bisogna allora chiedersi seriamente
se tutto questo esiga proprie regole e, comunque, adeguata cultura. La
vicenda drammatica di Tiziana ha messo in evidenza questo vuoto, e
l’emozione sociale suscitata proietta la questione nel futuro. Che non
significa necessariamente scrivere nuove regole, sicché fino a quel
momento nessuna reazione sarebbe possibile. Vuol dire che questioni
sociali pongono immediati interrogativi anche giuridici. E una prima
risposta è venuta grazie all’iniziativa dei magistrati di ricorrere a
una possibile istigazione al suicidio come strumento per perseguire
coloro che, impadronendosi senza alcun suo consenso dell’identità di
Tiziana, hanno determinato una situazione da lei ritenuta insostenibile.
L’attenzione
sociale, in situazioni così rilevanti, non può non essere accompagnata
da una altrettanto viva attenzione istituzionale. È proprio in queste
situazioni che il rapporto tra istituzioni e cittadini, oggi tanto
difficile e controverso, può divenire per un aspetto più evidente e
comprensibile e, per un altro, più impegnativo.