giovedì 15 settembre 2016

Repubblica 15.9.16
La sfida del Califfo donne e adolescenti per sferrare attacchi
In pochi giorni sono stati fermati tre quindicenni accusati di preparare attentati intorno a Parigi
Anche le ragazze hanno un ruolo importante: spesso destano meno sospetti fra chi controlla Le campagne di arruolamento mirano ai più giovani perchè sono più malleabili
di Renzo Guolo

DUE QUINDICENNI fermati dalla polizia di Parigi perché sospettati di preparare attentati. Arresto che si aggiunge a quello di un terzo adolescente avvenuto nei giorni scorsi. A sua volta preceduto da quello di alcune donne che hanno riempito di bombole di gas un auto lasciata vicino a Notre Dame.
Fatti che indicano un allargamento potenzialmente a dismisura del bacino di arruolamento jihadista; e che alimentano il rischio di acuire una paura collettiva che può sfociare in reazioni destinate a gonfiare le vele delle forze ostili alla presenza dei musulmani in Europa.
E’ esattamente quello cui mira l’Isis, in difficoltà in Siria, Iraq e Libia, deciso a riprendersi la scena con azioni che diano il senso della guerra totale e a polarizzare gli schieramenti secondo linee tipiche della guerra civile.
Non è casuale che il filo comune di questi arresti sia Rachid Kassim, militante francese dell’Isis che, via Telegram, conduce una massiccia campagna di propaganda e arruolamento in Rete, alla quale risultano sensibili anche giovanissimi e donne. Figure già viste in Siria, ma non ancora in Europa.
I giovanissimi sono alla ricerca di un’identità purchessia, e l’ideologia radicale, nel suo intenso antagonismo, gliela fornisce, veicolata dall’uso della Rete. Quanto alle donne che vivono in Europa, non accettano più il ruolo di “angelo del focolare” che l’Isis ha imposto alle loro consorelle nei territori dello Stato islamico, dove con poche eccezioni nella polizia religiosa o nel reclutamento on line, svolgono il ruolo di custodi della famiglia jihadista, struttura chiave nella riproduzione della base di massa del nuovo ordine politico.
Se tale ruolo è stato accettato senza difficoltà da donne provenienti dai paesi arabo- islamici o dai Balcani, sempre vissute in contesti dominati da rapporti di genere tradizionali, così non è avvenuto per le radicalizzate occidentali. Molte di esse hanno sempre desiderato a combattere, rivendicando un’eguaglianza sul terreno della jihad, sin qui di pertinenza esclusivamente maschile. Non a caso l’Isis ha più volte ribadito il divieto di combattere per le donne: sola eccezione, circostanze gravi in cui fosse in discussione la stessa sorte dello Stato islamico. Divieto mirato a impedire che le donne occupino lo spazio della guerra: terreno che, a giudizio degli ideologi radicali, potrebbe rivelarsi fertile per far lievitare quell’eguaglianza di genere sul terreno della militanza che, inevitabilmente, avrebbe conseguenze anche in altri rapporti sociali tradizionali.
Ora il quadro cambia per opera delle radicalizzate che non hanno potuto o voluto raggiungere i territori dell’Isis. Pur rifiutando la cultura occidentale, quest’ultime hanno comunque interiorizzato, in un contesto in cui la pressione sociale e ideologica è meno stringente che in un ambiente tradizionale, una certa autonomia tipica delle militanti politiche e delle donne occidentali.
L’impiego di adolescenti, così come quello delle donne, in azioni terroristiche non può che indurre una reazione tesa, se non a criminalizzare, a sospettare di qualsiasi musulmano: anche se è poco più che un bambino o una ragazza.
E’ chiaro, dunque, che il coinvolgimento nella jihad di soggetti ritenuti sin qui non sospettabili, è gravido di implicazioni che vanno oltre la dimensione della sicurezza. Mostrando una realtà nella quale il concetto di guerra si dilata all’estremo e nella quale, per i militanti jihadisti, non esistono più ruoli e spazi differenziati secondo genere ed età.