mercoledì 14 settembre 2016

Repubblica 14.9.16
La gaffe dell’ambasciatore
di Stefano Folli

NON è un mistero che i partner dell’Italia nel mondo occidentale prediligano la stabilità a Roma. E non solo loro: le agenzie di rating e i maggiori giornali, specie quelli che riflettono gli stati d’animo del mondo finanziario, la pensano allo stesso modo.
IL referendum è visto da tutti come un passaggio cruciale per l’equilibrio generale. L’amministrazione di Obama non fa certo eccezione e i suoi buoni rapporti con l’Italia sono parte di una tradizione consolidata. Non c’è più l’Unione Sovietica, ma il Mediterraneo è in fiamme e a Mosca il potere è in mano a un personaggio ambiguo e scomodo — agli occhi americani — come Putin. Perché allora non dare una mano a un amico in difficoltà, quale oggi è Renzi se si dà ascolto ai sondaggi sulla riforma costituzionale? Non a caso il presidente uscente riceverà l’alleato italiano per una cena di gala alla Casa Bianca fra poco più di un mese. E il voto degli italo-americani, si sa, conta qualcosa nell’altra partita incerta, quella fra Hillary Clinton e Trump. Niente di strano dunque se a Washington si augurano che nel referendum vinca il Sì. La pensano allo stesso modo a Berlino, a Parigi e altrove.
In altre parole, tutto si tiene. Il problema è che esiste un codice diplomatico che di solito si tende a rispettare, perché infrangendolo si rischiano effetti controproducenti. L’ambasciatore Phillips ha fatto un uso assai personale di tale codice quando ha detto in modo esplicito quello che nelle cancellerie e nei centri economici molti pensano. Phillips ha ritenuto di dare una mano a Renzi nell’ora del bisogno, facendo sentire agli italiani il peso della comunità internazionale. Perciò ha spezzato una lancia a favore del Sì, adombrando l’instabilità politica e la crisi degli investimenti esteri in caso di bocciatura della riforma Boschi. Il che non costituisce niente di davvero scandaloso nell’occidente globalizzato e interdipendente, dove quello che accade in Italia riguarda tutti e quello che accade altrove riguarda anche noi.
Purtroppo le buone intenzioni non sempre producono i risultati attesi. L’intervento dell’ambasciatore, per i toni usati e il momento scelto, assomiglia molto a una “gaffe” di cui non si sentiva la necessità. La memoria corre a un altro intervento di Phillips, qualche mese fa, quando annunciò in un’intervista che l’Italia era pronta a inviare migliaia di soldati in Libia per stabilizzare la situazione sul campo. In realtà il governo di Roma stava lavorando con prudenza sul piano politico, come si vedrà in seguito: l’uso dello strumento militare era funzionale ai progressi diplomatici, fino all’invio oggi dei duecento parà e al programma di assistenza medica. Allora, le parole dell’ambasciatore apparvero intempestive. Ora la situazione in parte si ripete, in un contesto diverso e molto più delicato.
Si capisce che gli Stati Uniti siano preoccupati per il referendum italiano. Qualcuno ritiene che dopo la Brexit l’Europa non possa permettersi un altro shock. Ma è opinione diffusa che il viaggio di Obama a Londra quasi alla vigilia del voto sull’Unione, con l’obiettivo dichiarato di dare una mano a Cameron, abbia eccitato un riflesso nazionalista in molti britannici. Anche perché le parole del presidente americano furono ispirate a un tono pedagogico vagamente irritante. Oggi Cameron ha abbandonato la politica e Renzi deve sperare che l’aiuto di Phillips e magari dello stesso Obama nel prossimo incontro a Washington producano esiti migliori. In fondo il premier ha bisogno di questo abbraccio degli alleati, forse lo ha persino sollecitato; ma si rende conto che un eccesso di zelo potrebbe soffocarlo.
Per sua fortuna le “gaffe” avvengono anche nel campo avverso. Il paragone fra Renzi e Pinochet fatto da Di Maio, un tempo il più moderato dei Cinque Stelle, dà l’idea della crescente confusione politica. Del resto, le parole dell’ambasciatore Usa hanno riacceso tutti i manierismi anti-Usa. Fa un certo effetto vedere degli atlantisti di lungo corso, come gli esponenti del centro-destra berlusconiano, denunciare la condizione di “colonia” dell’Italia e rivendicare un sussulto di nazionalismo. E mancano ancora un paio di mesi al referendum (in attesa della data).