Corriere 14.9.16
Roger Cohen: «Gli Usa investono su Renzi. Ma le parole dell’ambasciatore potrebbero essere controproducenti»
Per
l’editorialista del New York Times la scelta del diplomatico John
Phillips di schierarsi per il Sì alla riforma costituzionale voluta dal
premier italiano «è un po’ avventata»
intervista di Paolo Valentino
«Non
c’è dubbio che l’amministrazione americana stia investendo sul primo
ministro Matteo Renzi. Parte di questo è dovuto alla riscoperta
dell’Italia come alleato e partner affidabile dopo gli anni di
Berlusconi e sotto questo aspetto era già cominciata con i due premier
precedenti, Monti e Letta. Ricordo che Berlusconi aveva fatto battute
molto pesanti che avevano lasciato il segno su Obama e soprattutto sulla
first lady Michelle. Ma credo che con Renzi ci sia anche un fatto
generazionale, Obama vede in lui un agente del cambiamento, un leader
capace di portare finalmente stabilità al sistema politico italiano, di
riformarlo semplificando il processo decisionale e creando un ambiente
più favorevole agli investimenti». Inglese nato in Sud Africa e
naturalizzato americano, Roger Cohen è una delle firme di punta del New
York Times e uno dei maggiori esperti di affari internazionali. Ma di
tutti i Paesi che ha coperto nella sua carriera di giornalista, con
l’Italia, dove arrivò giovanissimo per il Wall Street Journal, ha anche
un affare di cuore e segue sempre da vicino le nostre vicende. «Negli
Stati Uniti — continua Cohen — è stato anche apprezzato il fatto che il
premier Renzi si sia dimostrato un alleato molto solido nella lotta al
terrorismo, in Iraq, in Afghanistan, in Siria dov’è parte importante
della coalizione».
C’è un significato speciale nella cena di Stato annunciata in ottobre?
«È
sicuramente significativo che l’ultima cena di Stato
dell’amministrazione Obama sia offerta in onore di Matteo Renzi. È un
gesto che va oltre la diplomazia. A mio avviso lì c’è anche una
questione di simpatia personale. Obama non ha rapporti stretti con molti
capi di governo, non è un leader molto espansivo. Cerca soprattutto
quelli con i quali trova affinità e probabilmente Matteo Renzi è tra
questi».
Cosa pensa del fatto che l’ambasciatore americano a Roma
si sia spinto così in avanti, da esprimere una esplicita preferenza per
il si al referendum costituzionale, rischiando l’accusa di ingerenza
negli affari interni di un Paese?
«Non mi sorprende più di tanto,
ma è una scelta un po’ avventata. Il presidente Obama alcuni mesi andò a
Londra dove fece un discorso molto appassionato in favore della
permanenza del Regno Unito nella Unione europea. Un ottimo discorso,
secondo me, ed ero anche contento che l’avesse fatto. Ma sappiamo com’è
finita. Questo a mio avviso dimostra che anche la parola del presidente
americano non abbia molta presa in Europa in questa fase. C’è in giro
molta rabbia e frustrazione a causa della crisi economica, dell’ondata
dei rifugiati. Per questo penso sia meglio evitare per un Paese
straniero prendere posizione su temi così controversi. È rischioso. Le
dichiarazioni dell’ambasciatore Phillips potrebbero rivelarsi
controproducenti. La logica dei sostenitori della Brexit è stata
distruzione a ogni costo. Forse è vero che in Italia la rabbia è meno
acuta, ma questo tipo di interventi rimangono un rischio».
Lei ha
incontrato Matteo Renzi due volte, la prima da sindaco di Firenze, la
seconda a Palazzo Chigi. Che impressione ne ha tratto?
«Non fu
molto contento del nostro primo incontro, perché scrissi un commento
molto negativo sull’aeroporto di Firenze. Ma a suo credito, ci ha riso
sopra nel nostro secondo incontro a Roma. In generale Renzi a mio avviso
è stato una buona cosa per l’Italia, anche se capisco che di recente è
stato accusato di cercare di piazzare suoi fedelissimi dappertutto,
perpetuando un’antica abitudine italiana. Ma credo che abbia fatto
riforme importanti. È un leader molto energetico e sinceramente deciso a
modernizzare il Paese».