il manifesto 14.9.16
Yes we Renzi, l’amico americano
L’ambasciatore
Usa Phillips: il no è un passo indietro. L’opposizione protesta:
un’ingerenza, non sono affari suoi. Il diplomatico gaffeur seriale è un
ultrà del premier italiano
Ma l’endorsement ’straniero’ ha fatto vincere Tsipras e la Brexi
di Daniela Preziosi
ROMA
Gli Stati uniti d’America invitano gli italiani a votare sì al
referendum. L’affermazione degna dei tempi della Guerra Fredda sarebbe
una grave ingerenza di potenza straniera amica e alleata, se non fosse
ormai ridicola, anche solo l’idea. E persino controproducente per chi
l’ha pensata.
A infilarsi ieri nella gaffe planetaria è stato John
Phillips, ’ambasciatore Usa a Roma, nel corso di un incontro sulle
relazioni transatlantiche organizzato dall’Istituto di studi americani.
Il no al referendum, ha spiegato con meraviglioso candore a stelle e
strisce, «sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in
Italia».
Insomma lo Zio Tom, impegnato in nella sfida elettorale
mozzafiato Hillary-Trump, ha il tempo di tifare anche Renzi? Certo è che
lo fanno le agenzie di rating (ieri da ultimo un manager di Fitch ha
parlato di «shock negativo per l’economia» nel caso di vittoria del no),
e infine gli investitori internazionali, ci informa l’ambasciatore.
Palazzo Chigi non sarebbe estraneo all’arrivo dell’endorsement del
diplomatico, compreso nel pacco dono del presidente Obama che ha
invitato Renzi e signora in una cena di stato alla Casa Bianca il 18
ottobre in occasione della fine del mandato del presidente più amato
dagli americani. Dal punto di vista dell’immagine si tratta di manna dal
cielo per l’appannato Renzi, che in quei giorni sarà in piena campagna
per il sì (la cui data però ancora non è stata decisa).
O almeno
così la pensano a Palazzo Chigi, che fa trapelare disappunto solo dopo
che si scatena il caso. L’ambasciatore Phillips – di origine friulana, i
suoi nonni si chiamavano Filippi, ma da emigranti in cerca di
integrazione americanizzarono il cognome – è un gran fan di Renzi, amico
dell’amico Marco Carrai – le cronache lo segnalano al suo ormai celebre
matrimonio -. Ma Phillips-Filippi è soprattutto un uomo d’affari:
innamorato dell’Italia di un amore non disinteressato. In Toscana nel
2001 ha comprato l’intero Borgo Finocchieto, nel senese, fra le Crete e
la Val D’Orcia, pagando un rudere 10 milioni di euro e trasformandolo in
un resort di charme con 22 suite a 5 stelle segnalato con gridolini di
gioia nelle bibbie del lusso più esclusivo. Diplomatico di nomina e non
di carriera – cosa evidente dallo stile tutt’altro che istituzionale – è
quindi riuscito a farsi spedire nella non prestigiosissima sede
italiana da Obama, nel 2013, sbaragliando gli altri aspiranti al posto
che come lui avevano sostenuto lautamente (cioè in solido) la campagna
elettorale del futuro primo presidente nero. Di cui sua moglie era già
consigliera.
Il personaggio è pieno di iniziative: non tutte
brillanti. Già nel 2014 aveva spiegato che l’Italia non doveva fermare
l’acquisto degli F35, facendo imbufalire gli onorevoli nostrani in quel
momento impegnati in una discussione in aula sul tema. «L’Italia è una
Repubblica parlamentare», aveva replicato il piddino Giampiero Scanu,
presidente della Commissione difesa. L’eccesso di entusiasmo per Renzi
qualche volta ha finito per mettere in imbarazzo lo stesso premier
italiano. Come quando su Repubblica per fargli un complimento spiegò che
Matteo era così bravo che gli ricordava Reagan. Che però non era un
presidente democratico. L’ultima gaffe invece la consegnò a
un’intervista del Corriere della sera, quando informò che in un
(presunto) imminente intervento in Libia «l’Italia potrà fornire fino a
circa 5mila militari». Stavolta l’amico Renzi deve smentire («Non è un
videogioco») e l’ambasciatore aggiustare, spiegare, insomma rettificare.
Ieri
il suo endorsement per il sì al referendum a nome del popolo americano
ha fatto imbufalire le opposizioni, da sinistra a destra. Allibito
Bersani: «Sono cose da non credere… Ma per chi ci prendono?». Di
«ingerenza grave» parla anche Gianni Cuperlo. Gli fa eco il
pentastellato Alessandro Di Battista: «Siamo alleati, non sudditi».
Forza Italia ha portato addirittura il caso nell’aula della Camera: per
«stigmatizzare le parole singolari dell’ambasciatore Philips», ha detto
Elio Vito. Si sono lasciati andare a dichiarazioni “antiamerikane” anche
il leghista Calderoli e l’ex missino Alemanno.
Stavolta,
nonostante il silenzio imbarazzato del Dipartimento di Stato,
l’ambasciatore ha confermato tutto. Felice di aver fatto un regalo al
best friend Matteo. Ma è davvero un regalo? Gli endorsement stranieri
fin qui non hanno portato bene agli endorsati. Stuzzicano i sentimenti
di indipendenza, insomma i cittadini non gradiscono. Nell’estate 2015
Angela Merkel e Matteo Renzi «consigliarono» ai greci il sì al
referendum proposto da Tsipras (che invitava a votare no). Pena, la fine
del mondo. Nell’aprile dell’anno dopo, e cioè di quest’anno, Obama
addirittura volò a Londra da Cameron per sostenerlo nella sua battaglia
«No Brexit». Com’è andata, in entrambi i casi, è noto. Male. Almeno per
loro.