il manifesto 14.9.16
Ambasciatore porta pena
di Norma Rangeri
L’americano
a Roma, Mr. John Phillips, avverte i cittadini italiani di fare molta
attenzione al referendum costituzionale di Renzi. L’ambasciatore
statunitense, nonni di origine italiana e un buon rapporto personale con
il premier, ci consiglia di votare un bel Sì, e spiega che il suo
endorsement a favore della riforma è dettato da un sentimento di amore
verso il nostro paese (la sua regione preferita è la Toscana) perché
solo un grande Sì consentirà agli investitori esteri di portare
ricchezza e benessere al nostro esangue sistema economico.
L’ambasciatore spiega che se vincerà il Sì godremo di una duratura
stabilità politica e finalmente i nostri mediocri politici diventeranno
grandi statisti.
Mr Phillips crede di fare un favore a Renzi, ma
dopo Economist, Financial Times, Wsj, il suo associarsi al mantra della
finanza internazionale che ci raccomanda ogni giorno di votare Sì per
non essere lasciati al nostro declinante destino, potrebbe invece
creargli solo problemi. Tanto più che ieri, associandosi al coro, la
società di rating Fitch, gli ha fatto eco minacciando sconquassi («se
prevalesse il No sarebbe uno shock negativo per l’economia»). Mancano
solo le cavallette.
Diciamo la verità, in altri tempi la posizione
dell’ambasciatore americano in una questione così delicata avrebbe
pesato sulla nostra opinione pubblica e sulle varie parrocchie di
riferimento. Oggi, nonostante la propaganda del governo che rilancia
l’endorsement e dirama alle agenzie l’invito di Obama a Renzi per
un’ultima cena alla casa Bianca, gli italiani sono più svegli, hanno
assaggiato i frutti avvelenati della grande crisi provocata da chi ci
regala questi avvertimenti. Che tutto il gotha della finanza
internazionale ci dica come votare alla fine potrebbe sortire l’effetto
contrario. Come dice Bersani, ma «per chi ci prendono?»
Il fatto è
che il governo con il referendum costituzionale (e la legge elettorale)
si è infilato in un grande isolamento, ha messo insieme tutte le
opposizioni generando una grande confusione sotto il cielo della
politica italiana.
Anche con il contributo del misurato ministro
Padoan che, sempre ieri, mentre annunciava una revisione al ribasso del
nostro Pil, prometteva più rosei orizzonti in caso di vittoria del Sì
(«non possiamo perdere questa occasione»). Poi il ministro si è
dilungato sull’operato del governo nel risanamento del malconcio sistema
bancario assicurando che tutto va per il meglio.
Evidentemente
aver sponsorizzato per il baricentro del nuovo assetto, un uomo di Jp
Morgan come amministratore delegato di Monte Paschi, è una garanzia.
Oltre che per le sorti della grande banca, anche per quella della
rottamazione costituzionale visto che Jp Morgan, bisogna riconoscerlo, è
stata tra le prime lobby finanziarie a mettere nero su bianco il
superamento delle Costituzioni del 1948, la prima a dichiarare che
bisognava spostare il cuore del sistema dal Parlamento al governo, dal
welfare europeo al nuovo vangelo della finanza globale. Il gruppo di
palazzo Chigi, con i suoi blairiani di ritorno, le banche della grande
finanza, la nostra Confindustria e Marchionne hanno scelto da che parte
stare.
E votare No, contro tutto questo, se non riempirà le tasche, almeno alleggerisce il cuore.