martedì 13 settembre 2016

Repubblica 13.9.16
La Consulta si trasforma da arbitro in giocatore
di Michele Ainis

QUANDO la politica è impotente, la Consulta è dirimente. Successe ai tempi del Porcellum, sta per succedere di nuovo. Perché le leggi elettorali sono le più politiche fra tutte le leggi, e perché a cambiarle qualcuno ci guadagna, però qualcuno ci rimette. Ergo, i partiti non riescono a mettersi d’accordo, e allora tirano la palla in tribuna. Trasformando i giudici costituzionali da arbitri in giocatori; ma non è detto che per loro sia un regalo. Ogni sentenza costituzionale reca infatti un’area di discrezionalità interpretativa, che in questi casi si converte in discrezionalità politica, offuscandone l’imparzialità. Non per nulla da lassù hanno già fatto sapere di non gradire la riforma Boschi, che assegna alla Consulta un esame preventivo sulle leggi elettorali.
Da qui un primo paradosso. È ammissibile il ricorso contro una legge che non ha mai ricevuto applicazioni? Il sistema italiano di giustizia costituzionale muove dai casi giudiziari, giacché presume che le leggi non vivano nel limbo delle Gazzette ufficiali, bensì nell’inferno dei nostri rapporti quotidiani. Solo quando s’incidono sulla carne viva dei cittadini, soltanto allora è possibile misurarne la legittimità. Qui e oggi, dunque, la denunzia parrebbe irricevibile. Domani, se la nuova Costituzione verrà timbrata dal popolo votante, invece no. Ma il paradosso è che i denunzianti, i nemici dell’Italicum, sono poi gli stessi nemici della riforma Boschi; eppure si producono in un gesto d’amicizia verso la riforma, in qualche modo le chiedono soccorso. E la Consulta? Se darà torto ai primi, darà torto anche alla Boschi. Carambole, rimbalzi. Però dimostrano che queste due riforme — quella elettorale e quella costituzionale — sono unite in matrimonio. Auguri.
Ma è davvero illegittimo l’Italicum? Lo scopriremo solo vivendo, come dice la canzone. Che una legge sia incostituzionale possiamo affermarlo con certezza dopo una sentenza, mai prima: il diritto non è a rime obbligate. Però i precedenti contano, pesano. E la pronunzia n. 1 del 2014 ci offre qualche elemento di giudizio. Per esempio sulle pluricandidature, dove risuona una censura (punto 5 della motivazione). Per forza: in democrazia chi elegge è l’elettore, non l’eletto. Invece i pluricandidati dell’Italicum sono destinati a convertirsi in plurieletti; e siccome nessuno può posare i propri glutei contemporaneamente su più d’una poltrona, a urne chiuse la loro scelta decreterà l’elezione di chi gli viene appresso nella lista. Un’elezione dopo l’elezione, una macchina del tempo elettorale.
Quanto all’aspetto cruciale (il premio di maggioranza), diciamolo: l’Italicum non è il Porcellum. Lì non c’era alcuna soglia minima per intascare un bonus di 340 seggi, qui tocca scalare il 40% dei consensi. E al ballottaggio bisogna pur convincere la maggioranza di chi andrà a votare. Sennonché il problema, anzi il rompicapo, sta nel fatto che questa legge elettorale s’applica nei soli riguardi della Camera. Ma le Camere, per il momento, sono due: una eletta con un supermaggioritario, l’altra con un superproporzionale (il Consultellum del Senato). E allora facciamo parlare la Consulta: questa scelta schizofrenica «favorisce la formazione di maggioranze non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme sostanzialmente omogenea»; sicché offende «i principi di proporzionalità e ragionevolezza».
Come uscirne fuori? Magari con una sentenza «sostitutiva», che sostituisca per l’appunto al testo vigente il vecchio emendamento Lauricella, dove l’entrata in vigore dell’Italicum era condizionata al successo della riforma Boschi. A quel punto deciderebbero, infine, gli elettori: bocciando la nuova Costituzione, boccerebbero altresì la nuova legge elettorale. Gira e rigira, queste due riforme incontrano un unico destino. Due cuori e una condanna.
michele. ainis@ uniroma3. it