Repubblica 13.9.16
Il reportage
Io in quell’inferno dove lo Stato non vuole entrare
di Fabrizio Gatti
È
un modello di immigrazione tutto italiano. Inutile cercarlo nei
protocolli o nelle leggi. Bisogna venire qui, a Borgo Mezzanone, pochi
minuti da Foggia, dentro il Centro d’accoglienza per richiedenti asilo,
il terzo Cara più grande d’Italia. Come si entra? Non è difficile. Lo
fanno tutte le notti i gangster della mafia nigeriana, accorsi da Napoli
alla ricerca di ragazzine africane da far prostituire. Lo fanno i
caporali all’alba quando devono mettere insieme centinaia di schiavi per
il calendario dell’agricoltura pugliese. L’ho fatto anch’io, per
un’intera settimana da infiltrato. Sette giorni all’inferno: come finto
profugo, per un reportage pubblicato sull’ultimo numero de l’Espresso.
Ospite
del Ghetto di Stato senza che lo Stato se ne accorgesse. Ho mangiato,
ho dormito, mi sono servito. Mi hanno anche interrogato: non la polizia,
ma gli sgherri dei boss nigeriani. Sono loro a controllare cosa accade.
La polizia non si è mai vista. Gli agenti, pagati con le dovute
indennità di missione, non si muovono dall’ingresso. Nemmeno i soldati
dell’esercito si spostano dal cancello. In sette giorni, mai un giro di
ispezione. Così, dai quattro buchi nella recinzione aperti sotto le
telecamere e i fari sempre accesi, può entrare e uscire chiunque.
Perfino intere mute di cani randagi vivono e ringhiano nel Cara di
Foggia.
Qualcuno dirà che dobbiamo pensare prima agli italiani, ai
disoccupati, agli sfollati dei tanti terremoti. Ed è proprio quello che
abbiamo fatto. Nei sette giorni da infiltrato e nei tanti altri passati
con il fotografo Carlos Folgoso, abbiamo scoperto come il ministero
dell’Interno e la prefettura spendono i nostri soldi: paghiamo ventidue
euro al giorno a persona, cioè 22mila euro ogni 24 ore, considerando il
migliaio di ospiti, per tenere i richiedenti asilo ammassati nelle
camerate come stracci su tranci di gommapiuma. Molti di loro cucinano
per terra, su serpentine pericolosamente attaccate alla presa elettrica.
E ai mille profughi, vanno aggiunti almeno cinquecento abusivi. Se
scoppia un incendio, è una strage.
Lo stesso periodo, subito dopo
la richiesta d’asilo, in Germania è dedicato ai corsi obbligatori di
tedesco. Chi non frequenta è respinto. I profughi che arrivano a Foggia
dopo mesi di sfruttamento nelle campagne sanno al massimo dire cumpà. E
quando li trasferiscono altrove, sono impreparati a tutto. Come al loro
primo giorno dopo lo sbarco. I bilanci della cooperativa cattolica Senis
Hospes, la società che gestisce il Cara, invece galoppano: fatturato in
aumento del 400% in due anni, dipendenti passati da 109 a 518. Il
presidente è un manager cresciuto sotto l’ombrello di Comunione e
liberazione. Ma ha ricevuto l’appalto dal consorzio Sisifo di Palermo,
una sigla rossa della Lega Coop. Dovremmo almeno smetterla con la
retorica. E confessare che il modello serve sì a creare integrazione e
lavoro. Ma per i disoccupati italiani.
Boss e caporali vengono a reclutare schiavi
Polizia e militari restano fuori Mille profughi e 500 abusivi
Se scoppia un incendio è una strage.