Repubblica 13.9.16
L’amaca
di Michele Serra
L’ASSEMBRAMENTO
di giornalisti davanti all’abitazione privata di Virginia Raggi (che si
fa strada tra due ali di telefonini e telecamere per salire in macchina
e portare a scuola il figlio) non aggiunge nulla al diritto di
informazione. Aggiunge qualcosa, però, all’impopolarità dei media, e non
solo presso l’elettorato grillino. Non sono una frase carpita,
un’espressione fugace, un gesto di nervosismo che possono fornire
elementi di comprensione della dura e triste situazione capitolina.
Mi
è capitato di fare il tifo anche per personaggi molto discutibili,
quando li vedevo braccati come selvaggina da mute di telecamere; che poi
inquadravano il citofono di casa come un trofeo. Il fiato ansante
dell’inseguitore con microfono e del fuggiasco muto sono un format buono
per fare spettacolo, non per fare informazione. Si capisce che la
politica, quando comunica, tende a essere autoreferenziale e per niente
dialettica: niente è più noioso e meno autorevole della pioggia di
dichiarazioni quotidiane vidimate dai portavoce. Ma non è un rimedio lo
stalking mediatico davanti ai portoni o per la strada o lungo vie e
viuzze che portano nei Palazzi.
Le parole meritano rispetto,
meritano spazio, meritano respiro. Raggi indica una conferenza stampa,
se le fa piacere in streaming, e in cambio si rispetti la sua casa.