Repubblica 13.9.16
Il saggio di Massimo Cacciari e Paolo Prodi
Guida al nuovo occidente che ha perduto l’idea di futuro
di Roberto Esposito
Il
saggio di Massimo Cacciari e Paolo Prodi analizza la crisi della
società attraverso il declino di due categorie fondamentali: “profezia” e
“utopia”
In molti oggi parlano di crisi dell’Europa e
dell’Occidente. Ma ben pochi risalgono alla sua origine scavando tanto a
fondo nel corpo della nostra tradizione, come fanno Massimo Cacciari e
Paolo Prodi nel loro Occidente senza utopie (il Mulino). Ciò che, pur
nella diversità degli strumenti, incrocia i loro sguardi è da un lato il
rifiuto di categorie lineari come quella di laicizzazione; dall’altra
il coraggio di dichiarare il fallimento del progetto moderno. La grande
tradizione che è nata dalla tensione tra Atene e Gerusalemme e che,
attraverso Roma, è sfociata nel diritto pubblico europeo, è arrivata a
termine e non è possibile riattivarla, se non passando per la piena
consapevolezza di quanto è accaduto. Se non si ha la forza, come scrive
Paul Valéry, di fissare gli spettri che ci lasciamo alle spalle, non
basteranno incontri di vertice o rifondazioni istituzionali per
riprendere quel cammino interrotto.
I due paradigmi su cui gli
autori misurano la distanza che separa il presente dalle sue radici,
sono quelli di profezia e di utopia. Senza la potenza critica che hanno
sprigionato nei secoli, alla nostra civiltà mancherebbe un lievito
decisivo. Eppure il loro orizzonte è stato profondamente diverso. La
profezia – al centro del saggio di Prodi – ha espresso una critica del
potere che ha aperto lo spazio di libertà per la creazione della
democrazia. È lo spirito profetico che per la prima volta, in Israele,
ha separato il sacro dal politico, rompendo l’identificazione teologico-
politica tra potere e legge. Profeta è colui che, da un punto
marginale, ha l’autorità per contestare il potere regale e sacerdotale.
Il divieto ebraico di pronunciare il nome di Dio va inteso anche come
difesa da ogni indebita sacralizzazione del potere. Ma anche la
distinzione cristiana tra quel che è di Cesare e quel che è di Dio
conserva, fino a un certo momento, la distinzione. Tuttavia la figura
del profeta non resiste a lungo. Già ridotta nel Medioevo a quella del
predicatore, è presto espulsa fuori dall’“accampamento” cristiano, nelle
frange ereticali. Tradotta in un impossibile progetto politico da
Savonarola, a partire da fine Settecento si fa da un lato anelito
rivoluzionario e dall’altro contatto personale con Dio. Dopo la
parentesi dei totalitarismi, interpretabili come forme perverse di
religione politica, nell’attuale dominio della finanza globale sembra
venuto meno ogni impulso profetico. E con esso l’anima stessa
dell’Occidente.
Un percorso diverso, ma altrettanto esaurito,
quello dell’utopia, ricostruito genealogicamente da Cacciari. Intanto
essa non va confusa con le mitologie, antiche e medioevali, di ritorno
alle origini. L’utopia si strappa dal passato per radicarsi nel proprio
tempo con la potenza di un progetto volto al futuro. Da qui il rilievo
che in essa hanno la scienza e la tecnica. Se si passa dall’Utopia di
Moro alla Città del sole di Campanella, alla Nuova Atlantide di Bacone,
questo elemento costruttivo, sistematico, viene sempre più in primo
piano. Organizzazione economica, incremento del sapere e tolleranza
religiosa sono le precondizioni di una società armonica e pacifica. Ma è
proprio questo progetto di neutralizzazione dei conflitti a entrare
presto in contrasto con la realtà altamente conflittuale dell’Europa
moderna. Non solo la politica, ma anche lo sviluppo dell’economia e
della scienza passano per un continuo susseguirsi di crisi che rompono
ogni immagine di armonia.
Se le utopie ottocentesche di Fourier e
Proudhon presuppongono la crisi della forma-Stato, Marx mette
impietosamente a nudo il carattere ideologico dell’utopia. Mentre ancora
Bloch persegue una proiezione salvifica verso il futuro, Benjamin
revoca in causa ogni modello progressivo. Contro il principio- speranza
di Bloch e la coscienza di classe di Lukács, egli nega che la redenzione
possa passare per la prassi. Solo l’irrompere del divino nella storia
può produrre novità radicale. Ormai l’idea di rivoluzione implode su se
stessa insieme a quella di riforma. La via per il futuro è sbarrata. E
dunque cosa resta da fare? La risposta di Cacciari, già da tempo
avanzata, è quella di un dualismo assoluto. Autonomia del politico,
sempre più ridotto a tecnica amministrativa, da un lato. E attesa di un
Dio impossibile dall’altro. Weber e Wittgenstein: limpidezza dello
sguardo e sobrietà delle parole. Tra i due, l’ascolto dei segni
enigmatici con cui il Nuovo può sempre annunciarsi.
IL LIBRO Occidente senza utopie di Massimo Cacciari e Paolo Prodi (il Mulino pagg. 150, euro 14)