Corriere 13.9.16
I conflitti dell’anima e la biopolitica. Indagine sull’età dell’agonismo
di Claudio Colombo
Quando
si parla di gara, il pensiero va subito allo sport. Si gareggia per
vincere, quasi mai solo per partecipare, con buona pace del barone de
Coubertin o, meglio, del reverendo Ethelbert Talbot, vescovo di
Pennsylvania, che al fondatore delle Olimpiadi moderne «prestò» il motto
tanto famoso quanto disastroso per chi lo applica (c’è una sorta di
rinuncia preventiva; di accettazione consapevole, per quanto allegra, di
un ruolo da perdente). Ma il concetto di gara non coinvolge soltanto la
dimensione sportiva.
Riguarda la vita. «È un tema importante per
il tempo presente — conferma Michelina Borsari, direttrice del Festival
Filosofia 2016, spiegando la scelta del titolo —. L’idea della
competizione è insita nella storia dell’umanità, ma oggi viviamo in una
dimensione di agonismo che pervade non solo gli ambiti della
collettività, ma anche i singoli». L’obiettivo è ambizioso: dare nuovi
significati all’intuizione filosofica originaria che vede nel polemos ,
nella contesa, la genesi di tutte le cose. E certificare, grazie agli
interventi di decine di studiosi, quanto e come la nostra epoca sia
permeata dal valore e dalle contraddizioni dell’agonismo. «C’è un
capitale umano — sostiene Borsari — che si impegna ogni giorno per
migliorare la propria esistenza, partendo dalla premessa che fare le
cose bene significa farle meglio dell’altro. È una sfida che si combatte
da soli, contando sulle proprie forze, proprio come in una gara
sportiva. E risponde a un principio di competitività che esalta
l’individualismo in un’epoca dove relazionarsi all’altro è quasi un
obbligo sociale. Questa volontà di emergere richiede sforzi notevoli e
un dispendio di energie fisiche e psichiche che provoca a volte
sofferenza».
Un tutti contro tutti dal sapore primordiale: è
proprio necessario? «La competizione è un valore quando non sfocia
dell’antagonismo. È chiaro che poi ci vogliono regole e ritualità
precise alle quali attenersi. Ma essere agonisti è un dovere dell’uomo
moderno, una necessità». Le lezioni magistrali saranno il cuore della
manifestazione: i relatori toccheranno ambiti politici, economici,
sociali, etici e scientifici. Massimo Cacciari, per esempio, indagherà
sulla natura del pensiero filosofico, spiegando che lotta e contesa ne
sono il fondamento, mentre Enzo Bianchi darà al tema «una valenza
spirituale», soffermandosi «sulla lotta interiore per vincere la
tentazione e sul regime della prova come esperienza essenziale di
libertà».
Interessante la proposta «biopolitica» di Roberto
Esposito su come il conflitto e la dimensione agonica dell’esistenza
abbiano inciso sulla crisi di identità dell’Europa (così come la
competizione internazionale, suggerisce Luigi Bonanate, fa oscillare
continuamente gli Stati tra anarchia e ordine, e in qualche caso tra
guerra e pace). E se Georges Vigarello, che scrive qui a fianco,
sostiene la stretta relazione tra modello sportivo e democrazia, varrà
la pena seguire la preoccupata analisi di Jean-Noel Missa sulla
proliferazione del doping come degenerazione dell’agonismo.
Non
mancheranno le riletture d’autore di classici che hanno costituito
modelli o svolte concettuali rilevanti: dai conflitti dell’anima nel
Fedro di Platone (Mario Vegetti) alle dinamiche di concorrenza feroce
dei prigionieri dei campi di sterminio evocate dal Levi di Se questo è
un uomo (Simona Forti).
Accanto a mostre, spettacoli e letture ci
saranno anche i menu filosofici ideati da Tullio Gregory per i quasi 80
tra ristoranti ed enoteche a disposizione del Festival. Non si sfugge
alle suggestioni contemporanee: la sfida ai fornelli è tra gli esempi
più calzanti di agonismo moderno, come insegna il successo dei talent
show che spopolano in tv.