Repubblica 13.9.16
Referendum, il big bang del Pd “Ultimo round, poi c’è la rottura”
Nel
partito un clima da scissione. Quello scambio di battute tra premier ed
ex segretario. “Pier Luigi, non c’è fiducia tra noi”. “Matteo, per la
prima volta dici la verità”
Speranza assicura che il divorzio non ci sarà. Cuperlo: ma quei toni di Catania non aiutano
di Goffredo De Marchis
ROMA.
Che la scelta del No al referendum costituzionale sia «un passaggio
delicato per la vita del Pd non lo nascondo», dice Roberto Speranza. Per
questo, racconta l’ex capogruppo, «tutti i giorni mi sento con Bersani,
con Cuperlo, con Migliavacca, con Gotor. Capiamo il momento». La
minoranza si avvicina a un gesto di «profonda rottura», come l’ha
chiamata Gianni Cuperlo. Con Renzi e quindi con il partito. «Ho detto
delle cose buone fatte del governo mentre il quadro del partito, anche
dopo la sconfitta di giugno, è immobile - spiega l’ex presidente dem -.
Se non si prende atto di questa condizione il rischio di una spaccatura
dannosa per tutti esiste». E «i toni del comizio di Renzi a Catania -
aggiunge Cuperlo - non hanno dato una mano».
Non prenderà il nome
di scissione, lo scollegamento di due pezzi del Pd. Ma avrà lo stesso un
effetto devastante sul Partito democratico. Stare insieme diventerà
impossibile, al di là delle migliori intenzioni. Il bivio è il
referendum. Dopo, tutto può succedere. Del resto le parole usate dai
dirigenti della sinistra nei confronti di Renzi sono quelle di una
scissione di fatto: capocorrente, aggressore, uomo della divisione e non
dell’unità, segretario alla ricerca della corte. «Ma sicuramente non ci
sarà la scissione - assicura Speranza -. Se anche il No perdesse, tra i
suoi milioni di elettori ci sarebbe ancora tanta sinistra. Arci,
Libera, l’Anpi, la Cgil si sono schierati contro la riforma. Dire che
votare No non è una cosa di sinistra e significa, anzi, appiattirsi
sulla destra, come fa continuamente Renzi, non è funziona». Sarà quello
descritto dal leader della sinistra il nucleo di qualcosa di nuovo?
La
minoranza ha rotto gli indugi, dopo il discorso di Catania. E
l’ambiguità sulla modifica dell’Italicum, la legge collegata alla
riforma costituzionale. «Il pericolo lo segnaliamo da mesi », insiste
Cuperlo. Ma alla festa dell’Unità Renzi ha parlato da «capocorrente»,
attacca il senatore bersaniano Federico Fornaro. «Adesso fa tre parti in
commedia: il premier, il segretario e il leader della sua fazione. Così
il Pd va a sbattere».
Italicum, referendum, amministrative: al
fondo il problema, tra Renzi e i suoi avversari interni, è la fiducia.
Non c’è e non c’è mai stata. Quando Bersani lo incontrò per la scelta
del presidente della Repubblica (forse l’ultimo colloquio a quattr’occhi
tra i due, un anno e mezzo fa), il premier esordì: «Pier Luigi, so che
non ci fidiamo uno dell’altro». Bersani lo fulminò: «È la prima volta
che ti sento dire la verità». Anche stavolta, la sinistra interna non
crede alle “aperture” del segretario. «Napolitano gli ha suggerito, con
l’intervista a Repubblica, due cose: abbassare i toni e modificare
l’Italicum. - sottolinea Speranza -. Renzi ha fatto l’esatto contrario:
un passo indietro sulla legge elettorale e bastonare la minoranza usando
Massimo D’Alema».
Perciò adesso il voto al referendum è No. In
attesa che «l’acqua fresca» come la definisce Bersani si trasformi in
qualcosa di diverso, che «la volontà dilatoria » (sempre parole dell’ex
segretario) lasci spazio a un’iniziativa concreta.
I bersaniani
non credono che succederà mai. «La natura di Renzi è quella:
ballottaggio e una maggioranza schiacciante che finisce per assorbire la
minoranza », spiega Miguel Gotor. E all’istinto non si resiste. «Non lo
puoi cambiare. Sa solo mandare segnali di guerra». È inutile pensare
che il Pd andrà in maniera normale al congresso, dopo il referendum. «Il
congresso sarà tra un anno, non abbiamo scelto l’oppositore di Renzi...
C’è tempo », divaga Gotor. Ovvero, succederà tutto prima di una
naturale dialettica congressuale, di un tradizionale confronto tra
mozioni. Che vinca il Sì o che vinca il No. «Il passaggio è grave»,
conferma il senatore bersaniano, «lo dovrebbe vedere anche Matteo.
Invece per lui i nemici sono sempre dentro, mai fuori». Per Bersani è
stata molto fastidiosa l’idea di appiattire la minoranza sulle posizioni
di D’Alema e sullo slogan che l’unico obiettivo del No è far cadere
Renzi. «Facciamo la battaglia contro l’Italicum dall’inizio. Io mi sono
dimesso da capogruppo, molti non hanno votato la fiducia, compreso Letta
- ricorda Speranza -. Il segretario fece finta di nulla. Lui non
c’entra con la nostra posizione». Dice Migliavacca, abituato a misurare
le parole: «Ci sarà una divaricazione politica sul referendum. E sarà
evidente ». Non si spinge oltre. Domani però è fissata una riunione
della minoranza e c’è un pressing su Speranza perchè diventi ufficiale
il No al quesito sul Senato. Adesso che la Cgil, Arci e Libera hanno
preso posizione dovrebbe essere più facile buttarsi. Li attendono al
varco anche i fuoriusciti: da Alfredo D’Attorre a Pippo Civati che
ironizza: «Se ho capito bene la legge elettorale che tutto il mondo ci
invidiava, sarebbe incostituzionale e forse non la useremo mai».