lunedì 12 settembre 2016

Repubblica 12.9.16
Trump, Brexit e la politica degli stregoni
di Moisés Naím

CHI vince piglia tutto. È una delle tendenze nei Paesi in cui la disuguaglianza economica si è acutizzata: i pochi “vincenti” (il famoso 1%) si prendono tutto. O per essere più precisi, incamerano una proporzione altissima delle entrate, accumulando la maggior parte della ricchezza del Paese. Questa marcata disuguaglianza economica è uno dei fattori che contribuiscono ad alimentare un’altra tendenza del mondo di oggi: la sfiducia. Che è in caduta libera, come confermano i sondaggi in diversi Paesi. La gente si fida pochissimo di governo, imprese private, organizzazioni non governative, mezzi di comunicazione. Ma c’è di peggio: neppure le istituzioni che un tempo erano al disopra di ogni sospetto riescono a sfuggire a quest’ondata di scetticismo. Ad esempio, negli ultimi anni la crisi economica e politica ha minato la fiducia dell’opinione pubblica negli “esperti”; e gli scandali sessuali e finanziari hanno fatto venir meno la credibilità della Chiesa cattolica. Sempre secondo i sondaggi, dovunque e in misura crescente la gente tende a fidarsi principalmente dei propri familiari e amici.
Salvo eccezioni. A volte una popolazione normalmente scettica decide di riporre le proprie speranze in questo o quel leader o movimento politico. È una reazione bipolare: o tutto o niente. Sul piano della fiducia, assistiamo a qualcosa di simile a quanto è accaduto in campo economico: chi vince si prende tutto. Alcuni personaggi apparsi all’improvviso riescono a suscitare una fede che vince ogni sospetto. Abbiamo visto come la fiducia della gente in certi leader non è scalfita dalla loro evidente tendenza a travisare la realtà, adulterare le statistiche, fare promesse irrealizzabili, lanciare accuse infondate o mentire. E non importa se lo fanno in maniera plateale.
Donald Trump ne è un buon esempio. I media riferiscono ogni giorno le sue affermazioni, che all’atto della verifica risultano false. Ma ciò non intacca l’entusiasmo dei suoi seguaci. C’è chi crede che i bugiardi siano i giornalisti, quando pretendono di rivelare la falsità delle affermazioni del candidato. Per altri, i fatti non contano. Da Trump ricevono speranza, si aspettano protezione e risposte alle loro rivendicazioni: un pacchetto irresistibile, tanto che a disincantarli non servono né i dati, né la scomoda realtà dei fatti.
Qualcosa di simile è accaduto di recente nel caso della Brexit. Uno spettacolo tra i più insoliti ci è stato offerto all’indomani del referendum col quale i britannici hanno optato per l’uscita dall’Unione europea: abbiamo visto e udito i leader della Brexit rimangiarsi le promesse e i dati sui quali avevano fondato la loro campagna. No, gli importi che il Regno Unito devolveva all’Europa in effetti non erano elevati. No, quei versamenti non si trasformeranno in un risparmio da investire per migliorare il sistema sanitario. No, l’uscita dall’Ue non servirà a ridurre l’afflusso di immigrati. No, non hanno alcuna idea su come riempire i vuoti istituzionali risultanti da questa decisione. Il giorno della vittoria, i capofila della Brexit hanno farfugliato davanti ai microfoni questa sfilza di “no”. E dire che per mesi, fino a poche ore prima, gli stessi leader avevano sostenuto l’esatto contrario. Anche qui, non contavano né i dati né i fatti. Perché dati e fatti sono roba da esperti, dei quali «la gente di questo Paese si è stufata». Questa frase l’ha pronunciata Michael Gove, uno dei leader della campagna per la Brexit (ora candidato premier), quando prima del referendum un giornalista lo ha messo a confronto con le conclusioni devastanti di un gruppo di esperti autorevoli, tra i quali vari Premi Nobel.
Ho citato solo due esempi dei tanti che abbiamo visto in Spagna, in Italia e in altri Paesi europei, così come in America Latina. Oggi è di moda parlare di un mondo “post-fattuale”. Un mondo dove nonostante Big Data, la rivoluzione dell’informazione, Internet e altri progressi, i fatti e i dati non contano. Sono le emozioni, le passioni, le intuizioni a guidare le scelte politiche di milioni di persone. Non è una novità. La politica senza emozioni non è politica. Ma le decisioni di governo che non tengono conto dei dati non sono decisioni di governo: sono atti di stregoneria. Come i britannici scopriranno presto, lasciarsi guidare solo dalle emozioni ignorando la realtà porta inevitabilmente a immense sofferenze umane.
Traduzione di Elisabetta Horvat