Repubblica 12.9.16
I rifugiati fantasma senza diritto d’asilo “Salviamo chi fugge dai disastri naturali”
Ogni anno sei milioni di persone emigrano a causa dei disastri ecologici
Gli esperti: “Saranno 250 milioni nel 2050, è l’emergenza del secolo”
L’eurodeputata Spinelli: “È miope considerarli migranti economici, ma anche l’Ue lo fa”
L’innalzamento dei mari a causa del riscaldamento globale provoca inondazioni e distruzioni soprattutto in Asia e nel Pacifico
di Vladimiro Polchi
ROMA.
Sei milioni di persone fuggono ogni anno dalle proprie case. Sono
profughi “fantasma” senza tutele, né protezioni. Li chiamano “rifugiati
ambientali”: uomini e donne invisibili alle leggi e alle convenzioni
internazionali, vittime di calamità naturali e cambiamenti climatici.
Entro il 2050 saranno 200-250 milioni. Peccato che la Convenzione di
Ginevra non riconosca loro lo status di rifugiato: così oggi chi scappa
dalla guerra può chiedere asilo, chi fugge da fame o sete resta senza
diritti.
I numeri sono impressionanti: secondo il Centre for
research on the epidemiology of disasters, negli ultimi 20 anni sono
state distrutte da catastrofi climatiche 87 milioni di case. Le
migrazioni ambientali sono in gran parte migrazioni interne: solo nel
2015 il numero di sfollati per calamità naturali è stato 19,2 milioni in
113 diversi Paesi. L’ultimo caso è quello della Lousiana: nelle
alluvioni del mese scorso sono state distrutte 60mila case. E i
senzatetto sono stati più di 7mila.
I rifugiati ambientali sono
stati di recente anche al centro dell’attenzione del Papa: «I
cambiamenti climatici contribuiscono alla straziante crisi dei migranti
forzati. I poveri del mondo, i meno responsabili dei cambiamenti
climatici, sono i più vulnerabili e ne subiscono gli effetti », ha detto
Francesco due settimane fa in occasione della Giornata mondiale di
preghiera per la cura del creato.
Lo straordinario aumento di
sfollati e profughi, fra l’altro, è dovuto anche a conflitti scatenati
da politiche di appropriazione di risorse. Dal dopoguerra a oggi, ben
111 conflitti nel mondo avrebbero tra le proprie radici cause
ambientali.
A questo popolo invisibile è dedicato il convegno
internazionale “Il secolo dei rifugiati ambientali?”, organizzato da
Barbara Spinelli, a Milano il 24 settembre (registrazione su
rifugiatiambientali@ gmail.com). «Sono rifugiati ambientali quelli che
sono costretti a fuggire da conflitti per l’accaparramento delle risorse
idriche o energetiche — spiega Spinelli — come lo sono coloro che
fuggono dalla desertificazione e dal collasso delle economie di
sussistenza in seguito a crisi dell’ecosistema attribuibili a cause
naturali o attività umane: land grabbing, water grabbing, processi di
“villaggizzazione” forzata, che negli anni Ottanta causarono la morte di
un milione di persone per carestia in Etiopia, e ancora inquinamento
ambientale, smaltimento intensivo di rifiuti tossici, scorie radioattive
risultanti da bombardamenti».
Il pericolo? È che questo popolo
resti “trasparente” agli occhi delle leggi internazionali: né la
Convenzione di Ginevra, né il Protocollo aggiuntivo del 1967 riconoscono
lo status di rifugiato a chi fugge a causa di catastrofi ambientali.
Svezia e Finlandia sono gli unici Paesi europei ad aver incluso i
profughi ambientali nelle rispettive politiche migratorie nazionali.
Secondo le principali ong, tra le azioni da intraprendere resta centrale
il riconoscimento giuridico. «Questi flussi si aggiungono a quelli
causati da guerre, persecuzioni politiche, religio- se o etniche, e
talvolta vi si sovrappongono in modo inestricabile — sostiene ancora
Spinelli — è pretestuoso e miope considerare queste popolazioni in fuga
da condizioni invivibili alla stregua di migranti economici, tuttavia è
esattamente ciò che fa la Commissione europea con il cosiddetto
“approccio hotspot”, che istituisce due categorie di migranti: i
profughi di guerra, ai quali viene riconosciuto il diritto di chiedere
protezione internazionale, e i migranti economici da rimpatriare
automaticamente senza aver seriamente esaminato le eventuali loro
legittime domande di asilo e senza concedere loro la possibilità di
ricorso in caso di respingimento». Per il politologo francese, François
Gemenne (tra i relatori del convegno), «che le migrazioni indotte dal
clima costituiscano in futuro un fallimento o un successo, dipenderà non
solo dall’impatto climatico, ma soprattutto dalle scelte politiche che
facciamo oggi».