Repubblica 10.9.16
Quel gusto rosso che cambiò il sapore del mondo
Coltivato
dai maya e portato in Europa dai conquistadores, è diventato l’alimento
simbolo della nostra dieta, accompagnando pizza e spaghetti
di Marco Belpoliti
Si
conclude oggi con il pomodoro la serie sulla storia delle materie prime
delle nostre tavole. Le altre uscite sono state: Lo zucchero (18
luglio); Il sale (23 luglio); La cioccolata (30 luglio); Il caffè (6
agosto); Il tè (13 agosto); Il tabacco (20 agosto); La birra (27
agosto); La patata (3 settembre)
Un mondo senza
pomodoro? Niente sugo, niente pizza, niente insalate, niente salse e le
innumerevoli combinazioni che si realizzano con questo frutto. Siamo i
maggiori produttori di pomodoro in Europa. Come il mais, patate, maioca,
patate dolci, fagioli americani, peperoncino, noccioline, girasole,
zucca, cacao e vaniglia viene dall’altra parte dell’oceano; sono i “semi
dell’Eldorado”, come li chiama Maurizio Sentieri. Eppure, alla stregua
della patata, il po–
modoro ha faticato a imporsi. La specie
selvatica cresce ancora oggi sulla costa occidentale del Sudamerica
nelle montagne del Perù, Ecuador e Cile. Cortés lo trova in Messico
durante la sua occupazione, dal 1519 al 1521. Nessuno sa come sia
emigrato lì; i maya coltivano un frutto grande, che mangiamo ancora
oggi, poi tocca agli aztechi. Cortés lo vede presso di loro. Arriva in
Spagna attraverso coloni e missionari sotto forma di semi, quindi in
Italia, ma solo come specie botanica. La parola azteca che lo designa è
tomatl; in Italia pomo doro. Compare per la prima volta in un testo nel
1544 dell’italiano Pietro Andrea Mattioli: «Sono questi schiacciati come
le mele rosse fatte à spicchi, di colore prima verdi, e come sono
mature, in alcune piante rosse come sangue, e in altre di color oro». I
conquistadores non lo identificano come un elemento fondamentale
nell’alimentazione degli indios alla pari del mais. Viene inserito dai
botanici nella famiglia dei solani con melanzana e belladonna; la prima è
invece arrivata dalla Persia nel XV secolo. Sono entrambi frutti, come
il cetriolo e altre cucurbitacee, ricorda David Gentilcore nella sua
storia del pomodoro in Italia: i semi sono avvolti in una polpa sugosa.
Perché il pomodoro si diffonda deve scemare l’influsso della medicina
galenica con la sua teoria degli umori (il pomodoro è “freddo”), poi
svilupparsi l’interesse delle élite, dei ricchi, sempre alla ricerca di
“suggestioni alimentari”, ghiottonerie e cibi esotici, anche contro i
pareri dei medici. Sono alla ricerca della “panacea” proveniente dal
Nuovo Mondo: il farmaco salvavita.
Nell’ottobre del 1548 il
sottomaggiordomo presenta al duca Cosimo de’ Medici un cesto di
pomodori, ma non sembra che sua eccellenza li abbia mangiati. A Siviglia
nel 1608 presso l’Hospital de la Sangre si registrano due acquisti di
questo frutto insieme ai cetrioli. A metà del Seicento avviene il primo
cambiamento nelle fortune del pomodoro. Si comincia a mangiarlo, quale
condimento e salsa, insieme a zucchine, melanzane e peperoncino. La
Spagna detta le regole culinarie: nei condimenti piccanti s’accompagna
ai bolliti; si mescola con melanzana e cipolla; è aggiunto nello stufato
di carne come sugo in cui cuoce. Sono i ricettari a determinare i
cambiamenti, ma sempre a livello di classe dirigente. Nella Casa
Professa di Roma dei Gesuiti – siamo nel Settecento – il venerdì viene
servita una frittata in cui compare il pomodoro, mentre gli altri giorni
è con il bollito di carne.
Si comincia a conservarlo per tutto
l’anno. Prima che Nicolas Appert introduca il sistema di conservazione,
si fanno seccare i pomodori al sole. Nascono in questo periodo le salse e
le conserve di sugo, distinte tra loro, come spiega Piero Camporesi
nella sua edizione dell’Artusi: siamo già nell’Ottocento. Il sugo si
ottiene con pomodori cotti e passati al setaccio insieme a sedano,
prezzemolo e basilico; la salsa si fa con il battuto di cipolla, aglio,
sedano, poi olio, sale e pepe. Il giro di boa del pomodoro avviene con
pizza e pasta. Nell’Ottocento i medici napoletani parlando del
sostentamento dei poveri usano per la prima volta la parola “pizza”:
condita con olio, formaggio, origano, aglio, prezzemolo; c’è anche il
pomodoro, sebbene non sia l’elemento fondamentale. Lo si usa sopra i
maccheroni nel desco del ceto medio. Tutto accade a Napoli. Quando
Garibaldi si prepara alla annessione del Regno, si parla dei napoletani
come “les macaronis”. L’anno fatidico è il 1839: Ippolito Cavalcanti
scrive del segreto per cucinare i vermicelli con pomodoro. L’inchiesta
Jacini nel 1885 certifica che è ora il condimento per elezione dei
contadini. C’è la pappa con il pomodoro, quella del Giornalino di Gian
Burrasca
di Vampa, anno 1907. Pizza e pomodoro sono ora
inscindibili: a Re Umberto I viene intitolato un pomodoro dalla forma
ovoidale e alla Regina Margherita la pizza.
La storia del suo
successo continua con l’industria conserviera che s’afferma in Italia:
dal concentrato di pomodoro ai pelati. Negli anni Venti del Novecento il
frutto torna là da dove era venuto, sotto forma di prodotto
d’esportazione. L’America acquista i pomodori lavati e scottati a
macchina e poi sbucciati, inscatolati e sterilizzati. Trionfa il San
Marzano, qualità che prende nome dalla cittadina vicino a Salerno.
Prospera anche la vendita dei semi. I californiani cominciano a farci
una grande concorrenza nel settore. Élite e popolo sono ora affratellati
dal pomodoro. Gli spaghetti con il pomodoro diventano nell’immaginario
americano, e non solo, il piatto italiano per eccellenza. Nel XX secolo
la trasformazione del pomodoro per l’industria conserviera è redditizia e
la tecnologia s’impone. Si usano varietà ibride; i nomi: Perfect Peel,
Isola, Snob, Hypeel, Italpeel e Calroma. I pelati sono raccolti a mano, e
in questo lavoro lo sfruttamento della manodopera degli immigrati è
all’ordine del giorno.
Negli ultimi anni le multinazionali dei
semi hanno tentato d’imporre il pomodoro transgenico, in cui un gene
disattiva l’enzima che fa marcire il frutto. Oggi un sesto degli
italiani si fa la conserva in casa, e le salse pronte coprono più di un
terzo del mercato. Pur essendo botanicamente un frutto, viene usato come
ortaggio. Si è scoperto che contiene licopeni dal potere antiossidante.
Perciò tutti a mangiarlo. Persino le foglie, considerate sin qui
tossiche, sono usate. Conterrebbero tomatina, che riduce la formazione
del colesterolo. Da cibo a farmaco? Il futuro è questo: si ritorna alle
origini.
Per saperne di più
David Gentilcore: La purpurea
meraviglia (Garzanti); Franco la Cecla La pasta e la pizza (il Mulino);
Piero Camporesi, La terra e la luna (Garzanti) 9. Fine