Repubblica 10.9.16
A chi interessa il matrimonio
risponde Corrado Augias
GENTILE
dottor Augias, ho letto su Repubblica del 30 agosto l’articolo di
Alberto Melloni dal titolo: “Continuiamo a chiamarlo matrimonio”, ho
anche letto le parole di Papa Francesco a Cracovia: «Non c’è amore senza
una sessualità ordinata, capace di pazientare nel tempo del
fidanzamento. I rapporti prematrimoniali è bene evitarli».
La
cerimonia cristiana rimase per lungo tempo una semplice benedizione
degli sposi. Il Concilio di Trento decretò l’indissolubilità del
vincolo; stabilì la celebrazione alla presenza del sacerdote e dei
testimoni. Assistiamo ancora — ma sempre meno — alla celebrazione con la
sposa vestita in bianco; rappresentava la verginità, era la
dimostrazione pubblica che la donna poteva appartenere allo sposo in
quanto non si era mai unita ad altri. La verginità! Oggi è ancora di
moda? Vivere insieme senza essere sposati è ancora riprovevole? Le
unioni civili hanno anche in Italia uno spazio legale. Quindi, la
definizione del matrimonio è connessa al periodo storico e alla sua
cultura. Il matrimonio attuale non ha più bisogno (mi perdoni il papa)
della pazienza prematrimoniale. È l’eventuale battesimo la neo cerimonia
nuziale.
Bruno La Piccirella
L’INTERVENTO di
Melloni richiamato dal dottor La Piccirella commentava uno studio
guidato dalla professoressa Silvana Seidel Menchi, specialista e storica
della materia (autrice di approfondite indagini archivistiche) dal
titolo “Marriage in Europe – 1400-1800”. Edizione per ora solo in
inglese. L’inchiesta a più mani riferisce sulla storia di questo vincolo
in Inghilterra, Francia, Spagna, Germania, Svizzera, Italia, Paesi
bassi, Svezia. Sulla copertina l’immagine suggestiva della tizianesca
Venere di Urbino. Fu il famigerato Concilio di Trento (1545-1563), che
aprì il periodo detto della Controriforma rovinoso per l’Italia, a
stabilire le regole principali del rito. Prima di Trento la chiesa
latina s’era limitata a cristianizzare con pochi ritocchi il matrimonio
romano. Un’altra studiosa, Fernanda Alfieri, che si è occupata più volte
di omosessualità femminile, ha trovato per esempio traccia di matrimoni
lesbici addirittura nel XV secolo. Anche sotto questo aspetto fu il
Concilio di Trento a rubricare (solo a maggioranza!) come “clandestine” e
dunque proibite, tutte le unioni che si allontanassero dalla norma
conciliare. Con la celebrazione del matrimonio la donna passava dalla
potestà paterna a quella maritale. Il matrimonio tridentino, ricordava
Melloni, «esclude i padri e introduce le componenti che i lettori del
Manzoni ben ricordano: l’autorità del parroco, la fisicità del luogo
sacro, la socialità impersonata dai testimoni, l’autorità, il valore
pubblico dei registri, la comprensione delle effusioni carnali come
parte di quel contratto e dunque illecite fuori dai fini procreativi». E
oggi? Le statistiche sono chiare: la convivenza prematrimoniale è in
pratica norma; al vincolo (religioso o civile) si preferisce spesso
l’unione di fatto; l’abito bianco è una specie di uniforme matrimoniale
che prescinde da ogni “purezza”. Solo i gay sembrano tenere davvero a
questa cerimonia come mezzo per uscire, finalmente, dalla condizione di
clandestini.