Psicologia , la Google Map dell’anima
Le iniziative del Corriere
La
collana In edicola con il quotidiano la serie dedicata alla disciplina
che si propone di studiare il comportamento individuale dell’uomo e di
guarirne i disturbi mentali. Una rassegna che parte dai grandi classici e
si spinge fino alle acquisizioni più recenti
di Giancarlo Dimaggio
Quante
volte ti sei trovato impreparato. Intorno a te assenza di logica,
scoppi di nervi, una cronica tendenza all’incapacità di comunicare. Ti
sei convinto che le relazioni umane siano una missione in Kurdistan. Ti
ci hanno mandato senza preavviso né addestramento.
Quante
decisioni hai dovuto prendere senza una Google Map dell’anima che ti
indicasse la strada giusta e che segnalasse cosa avresti trovato nella
mente di quelli che incontravi lungo il percorso. E ti mancava il
TripAdvisor che ti dicesse se lì vale la pena di fermarsi a cena. È uno
stato d’animo che conosci bene, si chiama: incertezza. Accompagnata a un
brivido, quella sensazione strisciante che nelle vene inizia a formarsi
il ghiaccio. La psicologia la incontri lì: previene la
cristallizzazione dell’acqua.
Hai deciso di andare all’estero, hai
un’idea, la vuoi sviluppare. Tuo padre si ritira lasciandoti un monito
ostile: «La gente ti frega. Io ho costruito tutto da solo. Fuori dalla
famiglia troverai solo nemici». Dubiti. Tua madre ha mal di testa: «Mi
abbandonerai, l’ho sempre saputo. Tua nonna in casa che mi toglie
l’anima, ma vai, l’affronterò da sola». Ti senti in colpa.
Avevi
un piano brillante, all’improvviso senti l’energia che sale verso il
cielo in un vortice grigio e dentro di te resta il ghiaccio. Nei libri
di psicologia, se cerchi la soluzione, qualcosa la trovi. Compulsi
volumi che ti dicano il da farsi. Apri alla parola diffidenza. Ti
rimanda a: rancore. Rimbalzi su: si offende facilmente, non dimentica i
torti, è vendicativo. Ne rivedi ogni azione, ne ripassi le frasi,
ripensi agli amici che ha allontanato, ti rendi conto che a casa tua non
c’era mai nessuno ospite a cena e i tuoi non accettavano inviti. Trovi
le parole che ti illuminano: personalità paranoide. Tuo padre, capisci,
non ha ragione, la sua narrazione di un mondo malevolo non è un fatto.
Lui incarna un archetipo che esiste dagli albori della razza e appare
con regolarità in ogni luogo.
Questa consapevolezza a te fa
cambiare idea parecchio. Sei intelligente, connetti le informazioni e
deduci: se è un archetipo non è il portatore della verità, esprime una
visione del mondo. E la visione del mondo, per definizione, è una
prospettiva. Se cambi prospettiva vedi una scorcio di panorama che prima
affermavi che non esistesse. Continui a compulsare. Assunzione di
prospettiva. Egocentrismo cognitivo. Bello. Questo concetto ti piace,
suona bene, ti ispira. Egocentrismo cognitivo, la tendenza a credere che
il proprio punto di vista sia oggettivo, l’incapacità di capire che gli
altri vedono il mondo da un punto di vista differente. Giochi un po’
col suono delle parole, le soppesi — e intanto il vortice che si portava
su il tuo animo si è arrestato, pacchetti di energia stanno rientrando
nel tuo corpo — le ripeti: egocentrismo. Come un vestito appena comprato
provi a vedere come calza a tua madre. Aderisce perfettamente. Mamma,
pensi, è ferma nella sua prospettiva: è convinta che il mio bene si
realizzerebbe se coincidesse col suo bene. Ma non è così.
Hai una
sensazione strana. Il ghiaccio si è sciolto, ma ti senti incatenato. Il
biglietto per Berlino ancora non lo fai. Ti stendi sul letto e pensi:
catene, vincolo, legame. Freud una cosa del genere la chiamava libere
associazioni. Legame ti convince, è la parola che ti tiene fermo a casa.
Riprendi a sfogliare libri di psicologia, legame ti conduce a Gregory
Bateson, Palo Alto. Doppio legame: «Figlio mio, fai quello che vuoi»,
detto mentre tutti i segnali comunicativi non verbali (ti piace che
esista il concetto di comunicazione non verbale) urlano l’opposto.
Doppio legame: ti vincolano e non hai neanche la possibilità di
protestare. «Mamma, ma tu vuoi che io non parta». «Che dici figlio mio?
Tua madre vuole solo che tu stia bene». Tu lo sai che non è vero. Sei
anche disposto a non partire, per un attimo ti basterebbe inchiodarla
alla responsabilità delle sue azioni. Non c’è verso. Una roba, diceva
Bateson, da farti diventare matto.
Apri la finestra. L’aria è
frizzante, ti riempi i polmoni, la tua terra oggi, proprio quando ti
senti più pronto a salutarla, forse per qualche anno, forse per sempre,
ti sembra bella. Vai al computer, controlli i voli. Rileggi la mail del
professore di Berlino che è interessato al tuo progetto. Al momento di
fare click conferma , ti blocchi. Ti guardi intorno, nervoso. Perché non
ci riesci? Frustrazione, rabbia, stavolta ce l’hai con te stesso.
La
sera esci con gli amici, due birre, queste lo sai che ti rilassano
senza doverne cercare conferma sui libri. Parlate di ragazze, musica,
calcio, niente argomenti pesanti. Torni a casa, ti metti a letto. Sogni.
Sei
in una piazza di pietra bianca. Un paese circolare, al di fuori il
deserto. Un arco è l’unico accesso. Tutte le case, a un piano, hanno le
serrande accostate. Non c’è nessuno. Un senso di angoscia, di immobilità
ancestrale. Vuoi andare via, ma le gambe sono pesanti. Arrivi all’arco.
Un volto impenetrabile ti fissa, ti dice: non puoi. Oltre l’arco, in
lontananza, monta un uragano. Ti svegli col batticuore.
Serve un
caffè, qualcosa per tornare subito lucido. Vuoi libri, vuoi più libri.
Interpretare il sogno non è semplice. Ti ci vogliono due settimane, la
risposta la trovi nella psicoanalisi moderna. Le parole chiave: oggetto
interiorizzato. Ti ferisce capire che significa, ma devi accettarlo. Il
vero potere ora ce l’hanno il padre e la madre che ti porti dentro. Puoi
combattere, litigare con quelli reali, ma non serve a niente. Perché ti
guidano dall’interno, sono diventati una delle voci nel tuo animo che
di tanto in tanto prendono il controllo e dicono: «Io». Pensi io, ma è
tuo padre che parla dentro di te. E non sei libero.
Ora che lo
ammetti a te stesso però monta un senso di leggerezza e, accidenti, è
inebriante a sufficienza. Pochi minuti e sul tuo indirizzo @gmail.com
arriva l’email di conferma della prenotazione del volo. Hai pensato,
sognato, sofferto e letto tanto. Ti sei guadagnato la volontà di volare.