giovedì 29 settembre 2016

Corriere 29.9.16
Freud e Jung ci parlano e sotto sotto fanno politica
Una scienza nata in un tempo e un mondo diversi eppure così plurale da aiutare anche la società
di Marco Garzonio

È bene chiedersi se la psicoanalisi sia attuale dopo più di cent’anni, in un mondo che non è più quello in cui è nata e il nuovo non si sa cosa sia. Quesito non puramente intellettuale: nasce dal bisogno d’individuare strade soddisfacenti per conoscere se stessi, mettere insieme i pezzi, dare un senso al cammino.
Freud, Jung e quelli che han seguito le orme non sono solo figure storiche. Già i nomi evocano il bisogno di interrogarci su dove stiamo andando, sulle attrezzature di cui disponiamo per comprendere ciò che accade intorno e sulle nostre reazioni emotive, che poi riversiamo sugli altri. Chiedono risposte le paure da cui son posseduti individui e comunità, le insicurezze che destabilizzano le case, la democrazia, la rappresentanza, il vissuto d’impotenza di fronte alle tragedie di cui siamo spettatori tanto saturati affettivamente da una bulimia d’immagini e dal «sempre connessi» da renderci spesso indifferenti: il Mediterraneo ridotto a cimitero; l’agonia di Aleppo; i fili spinati e i muri dell’Europa che fu di Schengen; i terroristi che si fanno esplodere; le donne violate e i bambini sfruttati.
La sfida odierna è coltivare il filo di speranza che ci leghi a un’esistenza consapevole, che ci faccia assumere le nostre responsabilità di uomini, donne, popoli, culture, religioni nelle generazioni, che ci consenta di immaginare un futuro desiderabile e praticabile. La psicoanalisi, scienza e pratica clinica del soggetto, è anche politica: cura della polis , perché persone che affrontano disagi e conflitti interni, se stanno meglio rendono la convivenza buona.
La psicoanalisi è plurale, è scienza che ha per verità il paziente; obiettivi e metodi che ogni scuola si propone sono strumenti. Ci si ricolleghi all’antica «via regia» dei sogni per Freud accesso all’inconscio, o all’appello di Jung alla consapevolezza della «situazione psichica del nostro tempo», non possiamo più accontentarci di letture di stampo sociologico. Son necessari coraggio, rischio, inventiva, la sostanziale fiducia nell’uomo e nella sua attitudine a crescere, cambiare, trasformarsi: valori che sostennero i Padri in un’epoca non meno drammatica della nostra.
Sullo sfondo stanno non inerti le tragedie del «secolo breve»; ne patiamo ancora le conseguenze in tempi da Terza guerra mondiale a pezzi, con migrazioni bibliche, multiculturalità, interdipendenza economica che omologa e appiattisce, Europa smarrita e divisa. Ma la cultura del lamento è sterile. Anche perché disponiamo d’un’eredità, che fa da paradigma e aiuta a collocarci nella storia da protagonisti e non da figuranti o vittime di scenari orditi da altri. Son da evitare spiegazioni superficiali, da talk show, delle sofferenze individuali e pubbliche e di addentrarci nelle oscurità più remote, fare i conti con le Ombre personali e collettive, accettare i pezzi di noi che ogni giorno proiettiamo su chi sta attorno e sul mondo, trasformando gli altri in parti indesiderate, nascoste, cause scatenanti i mali generali e nostri specifici di individui, nazioni, continenti.
La pratica analitica è lavorare in modo umile su ciò che sfugge al dominio dell’Io; è misurarsi con l’inconscio personale e collettivo, riannodare i fili di una coscienza lasca piena di smagliature che la crisi politica, culturale, economica dell’Occidente ha privato di punti di riferimento riconoscibili, credibili, affidabili; è accogliere il nuovo e l’imprevisto anche quando irrompono in modo urticante, perché vanno a toccare il nostro egoismo, mettono a rischio il godimento di spazi e risorse che crediamo solo nostri.
Le opere di Freud e di Jung, con le loro scoperte, con i lasciti personali e le scuole che hanno preso vita disseminandosi in tante direzioni sono la metafora dell’incontro fecondo tra storia e attualità nel segno dell’aiuto che la psicologia del profondo offre per comprendere sofferenze personali e travagli del tempo: e rimediare.
Freud che sfida impopolarità, convenzioni, pregiudizi, l’antisemitismo di Vienna e di molta Europa, e si muove avendo piena coscienza di essere portatore d’un compito irrinunciabile: un nuovo modo di curare le nevrosi, certo, che avrà però riflessi sulle dinamiche sociali, che legittimerà la ricerca di espressioni inedite nelle arti (letteratura, poesia, pittura) e nel cinema. E non si tirerà mai indietro. Nella prefazione alla traduzione in ebraico di Introduzione alla psicoanalisi avverte i giovani che «le novità contenute nella psicoanalisi... son talmente tante, che ovviamente a tutta prima sono destinate a suscitare avversione». Fa poi un cenno a Mosè e ai profeti e si chiede se sarebbe stata a loro comprensibile la versione ebraica della psicoanalisi, ribadendo la continuità della nuova scienza e la consapevolezza della suo ruolo di guida.
Jung, di neanche vent’anni più giovane, proveniente da Zurigo, di cultura e formazione diverse, che prima stringe rapporti con Freud, tanto che questi lo «adotta» come un figlio e lo designa successore ma poi, dopo la rottura tra i due, dà un contributo personalissimo alla nuova scienza introducendo categorie quali «processo di individuazione» e «complessi» e propone il valore della religiosità nell’esperienza psichica. Rileggendo quella sorta di bellissima e godibile autobiografia che è Ricordi, sogni, riflessioni si ha un’idea d’un pezzo di oltre mezzo secolo di psicoanalisi e delle potenzialità trasformative, dal male al bene, a cominciare da dove Jung afferma: «Solo il medico ferito guarisce».
Nel 1993, con civetteria intellettuale James Hillman scrisse: Cent’anni di psicoanalisi e il mondo va sempre peggio . Era un assecondare lo spirito del tempo, quando, sulla scia del crollo delle ideologie, si compilavano «libri neri», cioè elenchi di fallimenti in modi di pensare e modelli. Eventuali insuccessi non delegittimano però la psicoanalisi; stimolano anzi riconsiderazione approfondita e rilancio. Lo sollecitano le persone che chiedono aiuto, lo confermano psicologi e medici che si iscrivono alle Scuole di Psicoterapia a orientamento analitico, lo impongono la diffusa povertà di pensiero critico messo in scacco dal prevalere di moti di pancia cavalcati da una politica cinica preoccupata più del consenso che delle idee, logiche di appartenenza che erigono a criterio di vita apparenze e successo a ogni costo e a regola di rapporti posizioni aggressive/difensive. I muri, l’opposto della psicoanalisi!